Accorciare le distanze in Smart Working

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“Lavorando lontano dall’ufficio e dai colleghi mi sentirò solo”, “sarà molto difficile incontrarci come prima”: queste sono solo alcune delle paure espresse da quei lavoratori in procinto di diventare per la prima volta smart worker.

Ancora oggi i timori che incontro quando parlo di Smart Working con i lavoratori e con il management sono soprattutto legati all’ambito relazionale. Per esperienza, però, ho più volte potuto constatare che basta familiarizzare con questo nuovo modello di lavoro per comprendere che le titubanze sono solo falsi problemi.

Stare lontani per stare vicini

Stare lontani dall’ufficio comporta, nel pensiero generale, l’allontanamento e l’isolamento graduale verso ogni tipo di relazione con i propri colleghi e collaboratori.

Può sembrare un paradosso ma rispetto all’idea generale, il 34% degli smart worker ha un buon rapporto con i colleghi e con il capo, mentre solo il 16% dichiara il contrario (fonte: Osservatorio Smart Working).

C’è da dire, però, che la realtà è cambiata rispetto al passato. Uno studio del 2006, infatti, evidenziava come una maggiore intensità di lavoro a distanza fosse associata ad una ridotta qualità delle relazioni con i colleghi (Golden).

Altro tema è quello delle competenze relazionali, che molti pensano erroneamente non servire più da remoto. Gli smart worker, strano ma vero, ritengono di avere una più adeguata padronanza di competenze soft relazionali e comportamentali legate al digitale, le digital soft skill, che consentono alle persone di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti sopperendo a possibili isolamenti (Osservatorio Smart Working).

Incontri casuali e perfomance

Tuttavia esistono ancora ricerche che evidenziano l’esistenza di un legame favorevole tra la possibilità di incontri casuali e performance migliori, individuando nella prossimità fisica la chiave dell’innovazione.

E pensare che un tempo i manager scoraggiavano le interazioni informali etichettandole come elementi di distrazione dal lavoro. 

Tali studi si basano principalmente sul “Water Cooler Effect”, ovvero il fenomeno che vede i lavoratori riuniti attorno al dispenser dell’acqua – o alla macchinetta del caffè – intenti a chiacchierare in modo informale, sostenendo quindi l’utilità di tali incontri.

In uno studio fatto in un call center, tramite l’utilizzo di appositi badges che rilevano quantità e durata degli incontri, nonché tono e inflessione della voce, sono stati “misurati” i contatti faccia a faccia dei dipendenti ed è stato dimostrato che gli stessi aiutano ad aumentare la produttività del 10%.

Infatti mentre in Europa l’idea di Smart Working si va diffondendo sempre di più, negli Stati Uniti si preferisce concedere benefit interni ai propri dipendenti. Ciò si è verificato, ad esempio, in alcune big companies della Silicon Valley, come Google, che tra i benefit messi a disposizione ai suoi lavoratori offre gratuitamente i pasti per invogliarli a rimanere in azienda. Addirittura – notizia di pochi mesi fa – ha deciso di voler pagare di meno coloro che lavorano fuori città.

In questi casi quindi la politica aziendale è dichiaratamente quella di avere il minor numero possibile di lavoratori fuori dai propri uffici.

In generale, molte realtà, dopo lo Smart Working forzato dovuto alla pandemia, stanno facendo marcia indietro, richiamando i propri dipendenti in sede e sostenendo che, per essere sempre più produttivi e performanti, gli impiegati hanno bisogno di lavorare in una location creativa da cui poter trarre la giusta ispirazione.

Come accorciare le distanze in Smart Working?

E così, anche la ricerca è scissa, presentando da un lato i vantaggi del lavoro a distanza e dall’altro quelli della comunicazione face-to-face possibile solo in presenza.

La smaterializzazione parziale del luogo fisico di lavoro da parte dello Smart Working fa dunque nascere grandi sfide per le organizzazioni, come ad esempio il ricreare occasioni di incontro casuale e di socializzazione per gli smart worker, anche al di fuori delle mura dell’ufficio, e l’affrontare il rischio di isolamento e di asocialità per le persone che lavorano per gran parte del loro tempo da remoto.

Se però è vero che le interazioni casuali impattano sulle performance, capire quali sono i fattori preponderanti e ragionare sulla loro incidenza in termini virtuali potrebbe essere la giusta strategia.

Ci ha già pensato uno studio dell’Harward Business Review che ha analizzato quali siano i fattori che favoriscono le interazioni casuali cercando di capire come essi siano applicabili e come valgano anche nell’ambito virtuale

Prossimità

Il primo fattore è la prossimità, spesso considerata solo come fattore fisico, comprende in realtà quel mix di aspetti funzionali che insieme a quelli sociali e psicologici influenza di gran lunga le interazioni informali.

La centralità funzionale, infatti, è spesso più importante della centralità fisica e permette incontri casuali mediante un sistema di circolazione interna, tenendo presente in maniera cruciale la “geografia sociale” dello spazio.

In uno spazio fisico le persone si incontrano casualmente nel corridoio, mentre camminano ad esempio verso l’area break, o al mattino sulle scale mentre entrano in ufficio; interagiscono, socializzano e formano una comunità.

Se si volesse trasporre tale elemento nell’ambiente virtuale, si parlerebbe allora di prossimità virtuale, che può essere incentivata tramite le applicazioni “social”.

Ciò nonostante, la questione rimane comunque complessa, in quanto non è sufficiente permettere ai dipendenti di utilizzare i social per incentivare la prossimità. Senza una strategia organizzativa a supporto, infatti, si rischia un utilizzo improprio, il sovra utilizzo o il completo inutilizzo di questi “luoghi di condivisione virtuale”.

Privacy

Il secondo elemento è la privacy. Il giusto equilibrio tra questa e la condivisione risulta cruciale per la realizzazione di luoghi di lavoro che favoriscano un elevato livello di comunicazione informale.

Per poter infatti comunicare in modo sereno e spontaneo, le persone devono avere la possibilità di non essere ascoltate da individui esterni alla conversazione. Per questo motivo, la progettazione degli uffici deve tener conto di questo aspetto.

È necessario, dunque, creare degli spazi adibiti a conversazioni private o utilizzare divisori con materiali fonoassorbenti.

Analogamente, per quanto riguarda la privacy virtuale, il fatto che l’azienda possa monitorare dialoghi online e archiviare conversazioni dei propri dipendenti va a diminuire la propensione di questi all’utilizzo di canali virtuali di comunicazione.

Sarà perciò necessario creare il giusto equilibrio tra la necessità di controllare le comunicazioni da parte dell’azienda e il bisogno di privacy dei dipendenti.

Solo comunicando pubblicamente le policy aziendali in cui si spiega chi e in quale circostanza può avere accesso a informazioni riservate, si potrà creare fiducia e collaborazione.

Inoltre, l’utilizzo dei diversi status può essere d’aiuto per migliorare il livello di privacy ma mantenere la prossimità; ad esempio lo status disponibile può simulare la porta aperta dell’ufficio, lo status pausa può avvisare che si è maggiormente predisposti a conversazioni informali, e lo status occupato può inibire qualsiasi tipo di comunicazione simulando la porta chiusa di un ufficio privato.

Possibilità

Ultimo fattore è la possibilità intesa come insieme di pratiche organizzative e prassi che favoriscono o meno la socializzazione rispetto a spazi progettati a tale scopo.

Cronometrare le pause dei collaboratori da parte del management in sala break, ad esempio, non favorisce gli scambi informali ma mina l’utilizzo del locale nonché lo scopo per cui lo stesso è stato creato.

Il permesso è connesso alla cultura aziendale e alle convenzioni; non è sufficiente uno spazio di lavoro adeguato, occorre che anche il mindset dell’organizzazione sia in linea con il layout degli uffici.

Lo stesso vale anche per la comunicazione virtuale. Occorre incentivare la creazione di interazioni colloquiale, ad esempio attraverso un forum ad uso non lavorativo nel quale le persone possono comunicare e interagire.

Concludendo, non è semplice combinare prossimità, privacy e possibilità, integrando spazio fisico e spazio virtuale allo scopo di favorire la socializzazione e incentivare gli scambi informali.Certamente, attraverso un approccio multidisciplinare e a un cambiamento culturale che include anche lo Smart Working, è possibile intraprendere un percorso volto al raggiungimento di tale obiettivo.

Rimango sempre dell’idea che Smart Working non significa aumentare le distanze, bensì accorciarle.

Vittoria Olivieri
Vittoria Olivieri
Psicologa del lavoro. Svolge attività di orientamento formativo e professionale per studenti e lavoratori. Dal 2017 accompagna lavoratori e aziende nell’implementazione di percorsi di Change Management.
Vittoria Olivieri
Vittoria Olivieri
Psicologa del lavoro. Svolge attività di orientamento formativo e professionale per studenti e lavoratori. Dal 2017 accompagna lavoratori e aziende nell’implementazione di percorsi di Change Management.
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