Nel 2023 l’Italia è tra le ultime nazioni in Europa per adozione dello smart working. Le rilevazioni di Eurostat ci dicono che lo scorso anno solo il 4,4% dei lavoratori e lavoratrici italiani hanno svolto in modalità agile la loro mansione per almeno la metà del monte ore settimanale. Con questo dato l’Italia si pone agli ultimi posti della classifica, dove la media del continente è del 9% e con undici Paesi a superare questa soglia. Non solo i nordici (la Finlandia è al 22,4%) ma anche l’Irlanda si attesta ai vertici con il 22%.
Il numero è profondamente deludente perché ci riporta alla situazione prima della pandemia – quando le percentuali per l’Italia erano grossomodo quelle, nel 2018 eravamo al 3,6% dei lavoratori italiani – cancellando di fatto il boom registrato tra il 2020 e gli anni seguenti.
Le cause del ritorno all’ufficio
Cosa è successo nel nostro Paese da farci fare questo salto all’indietro? Due cause su tutte possono essere rintracciate. Da una parte la scelta del governo di mettere fine allo smart working “agevolato” lo scorso aprile, dall’altra storiche ragioni di arretratezza culturale. Finita la fase emergenziale più acuta, ecco che progressivamente le aziende hanno richiamato le persone in ufficio, ancora convinte che fuori dalla sede si lavori di meno e si è meno produttivi.
Peccato che i dati degli scorsi anni non hanno dimostrato questo. Oggi sappiamo che in quel periodo la produttività ha tenuto, le persone hanno preso maggiore coscienza del loro tempo libero e hanno imparato a collaborare a distanza sfruttando nuovi strumenti tecnologici. Nel 2021 la resistenza al rientro in ufficio è stata forte, qualcuno ha pure minacciato le dimissioni (e molti hanno dato seguito alle minacce, il fenomeno delle Grandi Dimissioni è stato reale, anche se alcuni studiosi ritengono che fosse cominciato già prima del Covid), poi piano piano, come quasi sempre accade, “il riflusso” ha spento la rivoluzione. Con buona pace del celebre filosofo sloveno Slavoj Žižek che aveva previsto <<lo smart working come la nuova rivoluzione industriale>>.
Una grande occasione persa
Non solo produttività, gli effetti positivi della modalità agile sarebbero stati positivi anche per l’ambiente grazie alla diminuzione degli spostamenti: due giorni di lavoro da remoto evitano le emissioni di 480 kg di CO2 all’anno a persona.
Però, siccome il sottoscritto crede che Slavoj Žižek ci avesse visto giusto, “la restaurazione” del ritorno in ufficio rischia di segnare una grande occasione persa dopo gli scenari che si erano aperti a partire dal 2020. Perché, nel caso dello smart working, gli svantaggi sembravano pochi rispetto ai vantaggi: meno spostamenti, conciliazione vita-lavoro, più tempo libero e una generale presa di coscienza delle persone che si può lavorare meglio ricercando il benessere. Tornare indietro, a causa di timori infondati e volontà di controllo sui propri collaboratori, è solo un modo per aumentare lo scontento e riprodurre storture di un mercato del lavoro anacronistico. Sicuramente, lontano dalle ambizioni dei giovani talenti. Il futuro è in ogni caso ibrido come abbiamo già sostenuto su questo blog!
In sostanza, l’arretramento del lavoro agile in Italia non è un fenomeno a sé, ma si inserisce in una tradizione storicamente non favorevole all’adozione dello smart working. negli ultimi dieci anni il Belpaese ha sempre avuto un tasso di applicazione costantemente sotto la media europea. In fin dei conti verrebbe da pensare che, senza un profondo cambio culturale nelle organizzazioni, nessun inciampo di percorso (la pandemia) permetta davvero di lasciare la vecchia strada.