Ogni estate, con le temperature sempre più bollenti, ci ricordiamo del surriscaldamento climatico. Il tema è stato trattato a più riprese su questo blog, cito solo l’ultimo articolo in merito. Adesso vi chiedo: sareste disposti a licenziarvi se il vostro lavoro fosse dannoso per il pianeta?
Qualcuno evidentemente sì, anzi non sono pochi. La BBC ha raccontato la storia di Steffen Krutzinna che aveva una brillante carriera da energy trader alla tedesca Next Kraftwerke – gruppo Shell – ma, quando la multinazionale ha abbandonato la promesse sul clima di tagliare la produzione di petrolio, ha preso quella che definisce una decisione “rapida e cristallina”: licenziarsi. A luglio 2023 Bloomberg aveva riportato la notizia delle dimissioni di un manager, Thomas Brostrøm, responsabile dell’unità energie a Shell, per motivazioni simili. Anche per lui si è trattato di un caso di climate quitting, dove la scelta di licenziarsi sarebbe dovuta al fatto che la multinazionale olandese del fossile ha ridimensionando l’impegno d’investimento nelle fonti rinnovabili.
Il fenomeno del climate quitting coinvolge i Millennials e Generazione Z. Sono già numerose le ricerche sociali che ne hanno analizzato le diverse sfaccettature, tutte concordi sul fatto che questa pratica interessi maggiormente le generazioni più giovani, con percentuali che possono essere anche molto significative. Addirittura fino al 20% degli intervistati, come da recente ricerca di KPMG nel Regno Unito su un campione di ben 6.000 persone tra studenti e giovani lavoratori.
Il climate quitting è stato osservato principalmente negli Stati Uniti d’America dopo la pandemia, in particolare dal 2023, quando oltre 1.000 lavoratori di Amazon organizzarono una marcia fuori dagli uffici aziendali della multinazionale a Seattle per protestare contro il mancato rispetto da parte della “big tech” di Jeff Bezos dei suoi impegni sul clima. Il motivo è dovuto al fatto che nonostante gli sforzi (ma tacciati di greenwashing) e la promessa di raggiungere la neutralità entro il 2040, le emissioni di Amazon stanno aumentando. Aumento che è stimato fino al 40% nei ultimi due anni dopo l’annuncio dell’impegno dello zero netto. L’azienda è stata così accusata dagli stessi lavoratori di sottostimare la sua impronta di carbonio.
Se la pratica del climate quitting è attuata anche quando la prospettiva di cambiamento lavorativo sia a minor stipendio, andrà di pari passo con l’aumento della richiesta di figure professionali con competenze green tanto da cambiare il mercato del lavoro? È sicuramente una domanda che si stanno facendo gli HR più giovani, in sintonia con Millennials e Generazione Z. Ma non solo i lavoratori potrebbero essere più sensibili al cambiamento climatico, magari anche i manager di domani.
Nei numerosi vertici internazionali sul cambiamento climatico, tra cui l’ultima Conferenza ONU sul Clima (COP 28 di Dubai), il concetto di climate quitting ha ricevuto una certa attenzione. La tendenza emergente delle persone di dimettersi dall’attuale lavoro, per intraprendere carriere che contribuiscono più attivamente alla sostenibilità ambientale, è essere parte del problema o della soluzione? I giovani sembrerebbero credere in quest’ultima.