Dopo l’ubriacatura della libertà assoluta – “basta un laptop e una connessione” – è iniziata una nuova fase, fatta di ritorni (spesso imposti) in ufficio. Un contrordine in piena regola, dettato proprio da quelle Big Tech che avevano proclamato la flessibilità come vangelo.
Non è più un dibattito a due poli. Oggi serve una riflessione più profonda: che cosa rappresenta l’ufficio? E cosa dovrebbe diventare?
Non è lo spazio. È la consapevolezza che manca
Molte organizzazioni non si conoscono abbastanza. Non sanno esplicitare il proprio purpose, non si osservano, non si interrogano. Si chiedono come lavorare, ma raramente si domandano chi sono davvero.
Io e i miei colleghi lo vediamo ogni giorno: si parla di agile, hybrid, nuovi layout… Ma senza una base valoriale solida, tutto rischia di restare superficie.
Le due trappole del workplace
Ci sono due errori ricorrenti, agli antipodi tra loro, ma ugualmente dannosi.
Il primo: organizzazione avanti, uffici indietro. Aziende che parlano di flessibilità, ma impongono il badge; che lavorano per progetti, ma hanno uffici divisi per dipartimenti. Che usano strumenti digitali per la collaborazione, ma si muovono in spazi rigidi, pensati per il controllo.
Il secondo: uffici avanti, organizzazione indietro. Spazi bellissimi, con aree relax, library, phone booth e informal meeting, ma la cultura interna è verticale, la fiducia scarsa e le decisioni accentrate. Il risultato? Un paradosso visivo: ambienti all’avanguardia che non riflettono ciò che l’organizzazione è davvero.
Nel primo caso, lo spazio frena. Nel secondo, lo spazio illude. In entrambi, manca l’allineamento.
Ad ognuno il suo ufficio. Ma prima, il proprio scopo
Nel mio intervento a OLMeet 2025, ho voluto lanciare un messaggio chiaro: non esiste un modello unico di ufficio.
Non è una resa al relativismo, ma una dichiarazione di responsabilità. Come ho detto prima, se vogliamo che lo spazio di lavoro funzioni, dobbiamo partire dal chi siamo, non dal cosa ci serve.
E questo vale per tutti, dal CEO al neohire.
L’ufficio oggi non è più (solo) un luogo operativo: è uno spazio simbolico, culturale, relazionale. Un riflesso del nostro modo di lavorare e di stare insieme. E se progettato con coerenza, può diventare un catalizzatore di senso.
Spazi di lavoro guidati dal purpose
Il purpose è la bussola che orienta ogni scelta: come comunichi, come valuti, come disegni lo spazio in cui vivi il lavoro.
Il nostro, ad esempio, è: “Trasformiamo i luoghi di lavoro in spazi di benessere.”
Sembra semplice, ma ogni parola è pesata. Il benessere, per noi, non è un effetto collaterale: è il cuore del nostro lavoro; progettiamo spazi che aiutano le persone a lavorare meglio e a stare meglio.
Quando un’organizzazione ha chiara la propria direzione, tutto comincia a trovare posto: le persone si motivano, la cultura si rafforza, i processi iniziano a funzionare davvero. Solo allora, lo spazio può fare la sua parte.
È così che è nata Workiland, la nostra sede.
Non è perfetta. Non è definitiva. Ma è vera. È cresciuta con noi, si è adattata a noi, continua a evolversi. Racconta chi siamo oggi e in che direzione vogliamo andare.Per questo, ti invito a venirla a vedere per lasciarti ispirare. E magari, davanti a un aperitivo, chiederci insieme che senso ha – oggi – lavorare e andare in ufficio.