Fortunatamente non capiterà che i nostri computer esploderanno all’improvviso come i cercapersone di Hezbollah! Ma la “computerizzazione del mondo” è qualcosa che dovrebbe farci riflettere un momento, perché ha un qualche effetto non secondario sul nostro corpo, il nostro lavoro e i nostri spazi.
L’impatto della tecnologia sul corpo e sugli spazi di lavoro
Juan Carlos De Martin, professore presso il Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino, in un articolo su il Manifesto dal titolo “Inseparabili dai computer, la minaccia che non vediamo”, ha affermato che: <<[…] Relativamente poche persone hanno messo a fuoco il fatto che il mondo si sta computerizzando, processo che sta causando, oltre al resto, alterazioni profonde nei rapporti con l’ambiente in cui viviamo, oggetti inclusi>>.
La tecnologia – come ben sappiamo una leva dello smart working – ha rotto lo spazio e il tempo dell’esecuzione delle mansioni. Ma contemporaneamente la tecnologia ha avviato un’ulteriore fase, meno visibile e soprattutto meno compresa: portare a computerizzare un numero crescente di esseri umani, di luoghi e di cose. Quali sono gli effetti di questa “computerizzazione” progressiva e “inconsapevole”? Prendo ancora in prestito le parole del docente e saggista italo-argentino:
<<[…] Le persone godono delle notevoli funzionalità degli oggetti smart, che spesso portano con sé anche quando dormono, ma allo stesso tempo si prestano a una raccolta dati, anche estremamente sensibili, su di loro e sull’ambiente in cui si trovano, una raccolta dati assolutamente senza precedenti per vastità e capillarità, con conseguenze – per gli individui e per la società – ancora tutte da mettere a fuoco>>.
La “computerizzazione” riguarda soprattutto gli spazi di lavoro ma anche e sempre più spazi privati e pubblici. Quando la connessione è ovunque si può lavorare ovunque, spesso fuori dagli orari di lavoro e pure se siamo in vacanza!
La connessione perenne e il confine tra lavoro e vita privata
Se sta diventando sempre più difficile passare del tempo in spazi non computerizzati, è probabilmente in corso un cambiamento fondamentale del nostro rapporto con lo “spazio di vita”.
Necessitiamo quindi non solo di conoscenza tecnica dei mezzi con cui operiamo bensì di una vera educazione etica all’uso. Detto in altri termini, il fatto di avere ovunque una connessione di rete non significa che dobbiamo rispondere alle mail ad ogni orario della giornata.
La “computerizzazione” del mondo finora è avvenuta in larga parte sottotraccia, quasi in maniera naturale – soprattutto per la Generazione Z, l’ultima entrata nel mondo del lavoro – con al limite qualche preoccupazione per la privacy. Eppure ciò ha un’ampia connessione con il “controllo digitale”, come dimostrato anche in un precedente articolo su questo blog.
La sociologa Francesca Coin ha parlato di “disciplinamento del lavoro” per descrivere la continua valutazione delle performance lavorative, dove peraltro più l’occupazione è povera e più cresce il controllo, basti pensare ai software dei rider. Ma questa è un’altra storia.
Quello che è il focus della mia riflessione è la lama a doppio taglio della tecnologia. Da una parte libera le persone, ridisegna gli spazi di lavoro, annulla le distanze, ma dall’altra genera controllo e ansia. Si tratta di un processo di importanza fondamentale per il futuro delle nostre società digitali, appesantito dall’arrivo dell’intelligenza artificiale (AI) e del quale – senza minimizzare i benefici – vanno compresi bene tutti gli aspetti.