Lavorare da remoto è oggi considerata una modalità organizzativa indispensabile per attirare i giovani talenti nelle aziende, oltre che irreversibile per buona parte del personale che durante la pandemia l’ha sperimentata.
Tra l’altro, ricordiamo che da questo mese lo smart working è tornato in gestione “ordinaria”, dopo la fase in cui era permesso ai lavoratori cosiddetti fragili (affetti da gravi patologie) e i genitori di ragazzi al di sotto dei 14 anni di lavorare da remoto anche tutti i giorni, senza alcun bisogno di ottenere il consenso del datore di lavoro.
Ma tale modalità ha avuto effetti negativi per le risorse più giovani? Qualcuno teme di sì in termini di avanzamento di carriera. Una survey della Astra Ricerche di Milano – citata da La Repubblica in un articolo del 1 aprile intitolato “Smart working, i giovani al bivio: è comodo, ma frena la carriera” – pone degli interrogativi. Non ho trovato i dati sul campione intervistato, però a quanto pare il 47,8% ha lamentato impatti non positivi nel rapporto con i colleghi e addirittura il 70% un peggioramento della condizione lavorativa. Tuttavia, con i 3,5 milioni di persone in modalità agile, secondo l’osservatorio del Politecnico di Milano diretto da Mariano Corso, il processo è irreversibile. Infine, per il 63% della Generazione Z lo smart working è una condizione non trattabile.
Il lavoro da remoto è anch’esso da considerarsi un benefit?
No, attenzione, sgombriamo il campo da equivoci, il lavoro da remoto non è un benefit bensì un valore. “A distanza” significa gestire un team in modo strutturato e richiede un cambio di mentalità nell’intera organizzazione, a cominciare dai manager. Ovviamente le aziende – soprattutto le grandi imprese – negli ultimi tempi hanno introdotto nei vari pacchetti di benefit (formazione, buoni spesa, bonus di risultato, ecc) la flessibilità lavorativa. Appunto, per attirare i talenti, se ne parla anche in un recente articolo su Il Sole 24 Ore dal titolo “Dalla formazione alla flessibilità, come cambiano i benefit per attirare i talenti”. Tuttavia il contesto del mercato del lavoro in Italia pone una specifica riflessione.
Sebbene il 3 aprile in una nota l’ISTAT ci ha informato che a febbraio è stato registrato il tasso record di occupazione al 61,9% con un numero degli occupati – pari a 23 milioni 773 mila – superiore a quello di febbraio 2023 di 351mila unità, i giovani restano introvabili. Le aziende faticano a trovare tutte le risorse di cui avrebbero bisogno dato che da alcuni anni, oltre ai pensionamenti, la popolazione in età lavorativa si sta parallelamente riducendo e invecchiando. E qui torniamo alla faccenda dei benefit citati sopra. Benefit che però ci sono sempre stati in realtà e sono solo cambiati nel tempo, ad esempio i più classici erano l’auto aziendale, lo smartphone o il PC. Adesso non sono più determinanti perché, in conclusione, i giovani della Generazione Z ambiscono a luoghi di lavoro che garantiscono maggiori tutele, inclusione e worklife balance.