Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto

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Serge Latouche e la critica alla società della crescita

Venti anni fa, in Francia, fu accolto con successo di critica e pubblico il saggio dell’economista Serge Latouche La scommessa della decrescita, pubblicato poi in Italia per la prima volta da Feltrinelli nel 2007.

Il termine “decrescita” suonava come una provocazione, nonostante la generale consapevolezza dell’incompatibilità di una crescita infinita in un pianeta dalle risorse limitate. L’oggetto di quel libro era incentrato sulla necessità di un cambiamento radicale e la grande crisi del 2008, cominciata con il crollo di Wall Street e trasferita all’economia reale sembrò confermare l’assunto del manifesto di Latouche.

La dittatura degli algoritmi e l’illusione della liberazione dal lavoro

Nel 2024 l’autore francese è tornato con un altro testo che non ha mancato di attenzione: Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto, edito da Bollati Boringhieri. Nel libro si torna ad affrontare un tema decisivo per la “società della crescita” e l’impostura (o ossimoro) dello sviluppo sostenibile. Come altre rivoluzioni tecnologiche, anche quella digitale fallisce nella promessa di “liberarci dal lavoro” e non produce alcun miglioramento, scrive Latouche. Quello che invece sembra emergere è una “dittatura degli algoritmi”, opposta all’utopia digitale, replicante il medesimo modello creato dal lavoro salariato con tutte le disuguaglianze a corredo.

Per il teorico della decrescita la via d’uscita da una società schiava del lavoro è una comunità dove saranno prevalenti attività meno attente al fine economico e più al benessere personale e pubblico. In questo è forte l’ispirazione alle manifestazioni di piazza che hanno animato la Francia nel 2023 per la protesta contro la riforma delle pensioni. 

Latouche parte dall’assunto che l’epoca che stiamo vivendo, la “modernità avanzata”, ci ha fatto tre promesse:

  • lavorare meno e guadagnare di più;
  • lavorare meno e lavorare tutti;
  • far lavorare la tecnologia al posto nostro.

Ma sono mistificazioni dal momento che restiamo nello schema della società capitalista. La riduzione del tempo di lavoro così ambita – come hanno dimostrato tutti i sondaggi in merito – deve essere sostanziale, ovvero accompagnata a cambiamenti materiali e mentali nello stile di vita. L’autore cita il caso del fallimento della famosa riforma per la settimana lavorativa di 35 ore entrata in vigore nel 2000 in Francia: “[…] Mettere in discussione la centralità del lavoro nella nostra società significa smantellare la base dell’economia della crescita cumulativa, cosa che non era nelle intenzioni del Partito Socialista francese”

La riduzione del tempo di lavoro è avversata anche dai sindacati (pure in Italia) perché al crescere della produttività preferiscono chiedere più salario anziché più tempo libero.

Nella schiera dei metodi per lavorare diversamente si inserisce a pieno titolo lo smart working che va a rompere i vincoli spazio-tempo dell’occupazione. Benché sia la migliore condizione che conosciamo al momento per il worklife balance, purtroppo, per qualcuno è scattata la trappola di lavorare oltre gli orari canonici.

Ecco quindi che necessitiamo di una “politica del tempo” per riappropriarsi del tempo libero e quindi non lavorare affatto: “Lavorare meno e lavorare diversamente di fatto già significa non lavorare  affatto; può voler dire ritrovare il gusto dello svago, […] la realizzazione delle condizioni oggettive di questo cambiamento a livello dell’intera società deve essere l’obiettivo per la costruzione di una società della decrescita”.

Il cerchio trova così magicamente la sua chiusura? Il dibattito è destinato a continuare.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.