Le periferie urbane decidono il futuro della società europea

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A 25 anni dell’uscita del film di Mathieu Kassovitz L’odio sulla vita disagiata nella banlieue parigina – vincitore della Palma d’Oro a Cannes – il modello di assimilazione francese pare definitivamente naufragato. Ma la “banlieue” come laboratorio di rivolta sociale non riguarda solo il passato e la Francia, bensì pure il futuro e l’Europa. Infatti, nelle periferie urbane europee vivono milioni di cittadini, la metà dei giovani sotto i 25 anni, ai quali gli stati devono offrire un futuro.

Le periferie urbane come cartina di tornasole del Paese.

Oggi il tema è una chiave per riflettere sulle situazioni di disagio che possono costituire motivo di crisi anche in Italia. Il paese presenta molte emergenze poiché le periferie stanno tornando ad essere – è sempre accaduto nelle grandi fasi di transizione, dalla Torino degli anni ’50 alla Roma dei ’70 – la cartina di tornasole della qualità della vita nel Paese. Crocevia etnico, rifugio del precariato, luogo della sperimentazione sociale e di politiche securitarie, i legami di un tempo, quando si parlava di cinture operaie e “rosse”, sono venuti meno. C’è una crisi economica e di socialità prima che urbanistica, benché sia vero che la logica razionalista che ha progettato quartieri dormitorio si sia rivelata un fallimento ovunque. 

Nel Nord Europa sono evocate le immagini di “ghetto urbano a carattere etnico”, dove l’Islam delle periferie si è rivelato un fattore di riscoperta d’identità che assolve la funzione di collante sociale, spaventando però molti a causa dei recenti episodi di terrorismo. Questo perché dalla periferia operaia si è passati a quella d’immigrati, dopo le trasformazioni sociali e produttive che a partire dagli anni’70 hanno caratterizzato tutti i paesi di antica industrializzazione. A ciò si sono aggiunte politiche per la casa che hanno confinato nelle medesime unità abitative troppe famiglie in condizioni disagiate e non si è riprodotto quel tessuto sociale misto tipico del centro cittadino mediterraneo: le logiche segregazioniste hanno favorito l’insediamento della popolazione migrante nelle medesime aree. 

Le operazioni di speculazione edilizia in centro città, con i conseguenti alti affitti e prezzi delle case, hanno spinto verso la banlieu tutte le classi meno agiate, accentuando nel tempo la precarietà della vita in certe aree periferiche cittadine. Ma, anche volendo sposare la tesi plausibile di un modello di ordine sociale che ha voluto ghettizzare geograficamente (e più facilmente reprimere) potenziali centri di ribellione, è pure vero che la congiuntura economica ha segnato da trent’anni a questa parte un’ampia fascia della popolazione.  

Crisi economica e consenso per i partiti populisti.

La ristrutturazione industriale, come già accennato precedentemente, ha fatto venire meno la connotazione operaia delle periferie in tutta l’Europa Occidentale e con essa i suoi simboli. In Italia, c’era una rete di solidarietà che comprendeva le Case del popolo sezioni del P.C.I. come l’oratorio. Fino agli anni Ottanta erano importanti centri d’aggregazione e svolgevano un ruolo sociale. Oggi la politica ha abbandonato questi luoghi o peggio, sono diventate terre di conquista per l’estrema destra in tutto il continente: dal Front National alla Lega Nord passando per Alterative für Deutschland. Si è progressivamente creato un vuoto economico, esistenziale, culturale e ha prevalso un mix di disoccupazione, precarietà e insufficienza dei servizi pubblici (spesso privatizzati). Le persone che hanno subito maggiormente la crisi tendono a votare per formazioni politiche antisistema. Il “sistema” è il progetto di società neoliberale – sposato anche dalle forze socialdemocratiche – che ha radicalizzato le diseguaglianze e approfondito la frammentazione sociale.

L’economista francese Jean Paul Fitoussi sostiene che il problema centrale della crisi delle periferie risiede nella mancanza di occupazione: << […] per risolvere la situazione ci vuole crescita economica oltre alle politiche sociali conseguenti>>. Sfortunatamente, la pandemia secolare Covid-19 ha colpito sia l’una che le altre. Ma non si può incolpare il Coronavirus di una tendenza presente in Europa da almeno vent’anni, la “tentazione penale”, ovvero considerare e trattare le persone che hanno problemi come persone che creano problemi. Infatti, il paradigma della sicurezza ha portato la politica ad investire nella repressione. Assistiamo sempre di più al profilarsi di una realtà che vede città dal centro “salotto” e le periferie lasciate a sé stesse. Il modello della legalità prevede, infatti, l’allontanamento degli indesiderati lontano dal cuore pulsante della vita cittadina, verso aree urbane dove sono tollerati perché meno visibili. 

Oggi ripensare le periferie vuol dire prendere atto che c’è un sistema che emargina chi è “in esubero”, contrastare la discriminazione e la mancanza di prospettive. La sfida più importante per chi governa le nostre città è lavorare nella direzione della prevenzione di uno scenario da banlieue diffusa. È nelle periferie che stanno avvenendo i principali cambiamenti della politica europea, gli amministratori ne devono prendere atto.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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