Lo scenario inaugurale della FIFA World Cup 2022 sarà l’Al Bayt Stadium di Al Khor dove la prima partita in programma, alle ore 19:00 locali del 20 novembre, vedrà in campo il Qatar – Paese ospitante – e l’Ecuador. L’assegnazione agli emiratini dell’organizzazione della Coppa del Mondo di calcio è stata chiacchierata fin dal principio. Oltre alla faccenda centrale del rispetto dei diritti umani, proprio la decisione del “governo mondiale del pallone” partì male. Le rivelazioni su una cena parigina avvenuta il 23 ottobre del 2010 all’Eliseo fecero sorgere il sospetto su un sistema incrociato d’interessi politico-sportivi, divenuto noto come “Qatargate”.
Quella sera al tavolo erano seduti l’allora presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy, il presidente dell’UEFA Michel Platini e Tamim Bin Hamad Al-Thani, principe ereditario del Qatar con più di qualche interesse in Francia. Tra cui il Paris Saint-Germain, la squadra più forte del campionato da far diventare vincente anche in Europa. A quella cena si parlò del “prossimo” Mondiale 2022 che il paese arabo riuscì appunto a vederselo assegnato un paio di mesi dopo quell’incontro. Se il “Qatargate”, con i suoi sviluppi, ha fatto uscire di scena “le roy” Platini, a Doha le ombre non si dissolveranno con il fischio d’inizio.
Qatar 2022: il Mondiale della vergogna.
Sull’evento sportivo che inaugura domenica gravano inquietanti aspetti sull’organizzazione dal paese ospitante. Sono ben documentate le malvagità del regime, con migliaia di operai morti sul lavoro per la costruzione degli stadi, la repressione dei dissidenti politici e i diritti umani gravemente violati. Ora non è la prima volta che la FIFA fa ospitare il Mondiale di calcio a uno “stato canaglia”. Tutti ricordano bene l’assist alla dittatura militare dell’Argentina con la Coppa del Mondo del 1978. Quella coppa che le mani insanguinate di Jorge Videla consegnarono poi al capitalo dell’albiceleste Daniel Passarella (mentre i giocatori olandesi, dopo aver perso la finale, lasciarono subito il campo disertando la premiazione) fu una legittimazione del dittatore. Ma quella è un’altra storia, magistralmente raccontata in film e libri.
Dicevamo qui degli organizzatori della World Cup 2022, ed è curioso che proprio loro in questi giorni abbiano parlano di “diritti” e si siano professati orgogliosi di “avvicinare le persone” grazie al torneo. Però è bene a nessuno degli spettatori venga in mente di sventolare una bandiera arcobaleno! L’unico motivo di preoccupazione per il Qatar è il volume di visitatori stranieri attesi. Secondo le stime ben 1,2 milioni di persone raggiungeranno l’emirato tra novembre e dicembre, in un paese che conta appena 3 milioni di abitanti e dove ci sono ancora cantieri aperti e strade incomplete.
Fare smart working per il calcio.
Ecco quindi che il governo ha pensato bene di correre ai ripari contro gli affollamenti togliendo dalla strada più intralci possibile. Non solo ha cacciato via i lavoratori migranti, a Doha e dintorni università chiuse e smart working forzato per tutti quei lavoratori che possono operare in modalità da remoto. Ora l’idea non è proprio originalissima, già lo scorso anno in Giappone per le Olimpiadi di Tokyo si erano convinti gli “stakanovisti da ufficio” nipponici a restare a casa. La motivazione per fare smart working era plausibile anche ai più restii ad abbandonare la scrivania: lavorare da remoto per ridurre il traffico della metropoli in concomitanza con la manifestazione sportiva.
Ma stavolta la sensibilità del Qatar fa quasi simpatia… Loro non hanno pensieri “occidentali” sullo smart working per ridurre l’inquinamento o salvare le aziende da spese energetiche esorbitanti, no il motivo è candido: ci sono le partite, evitiamo d’intralciare i tifosi!
Incredibile, nel Qatar dove 6.500 operai migranti sono morti per costruire gli stadi, si farà smart working.