Tempo libero e di lavoro, una rivoluzione necessaria

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Cosa è cambiato negli ultimi due anni a causa della pandemia nel mondo del lavoro?

Abbiamo parlato di Grandi Dimissioni, filosofia YOLO (You Only Live Once) e per ultimo il fenomeno del Quiet Quitting… Il fatto, secondo gli esperti di studi sociali, è che le persone costrette a casa ai tempi del lockdown hanno realizzato che c’è un tempo irrinunciabile: quello di vita. L’accento è in termini di tempo libero guadagnato e non di lavoro evitato, sia ben chiaro.

Ora, se idealmente vogliamo ridisegnare la società alla luce di questi nuovi fenomeni, occorre fare un change organizzativo sui parametri del tempo, cioè occupazione salariata, orari, ferie ed età di pensionamento. Ovvero una “rivoluzione copernicana”, come afferma Marco Morosini in un illuminante articolo su Il Manifesto, prendendo spunto dal programma elettorale del candidato alla presidenza francese Jean-Luc Mélenchon (per la cronaca, in merito ad aumento a 6 settimane di ferie l’anno e riduzione dell’età di pensionamento a 62 anni).

Decidere prima il tempo libero e poi il tempo di lavoro

Ma dov’è la premessa per fare questa “rivoluzione copernicana”?

Nell’ottimistica convinzione che l’era digitale porti il sogno di decidere prima il tempo libero che vogliamo e poi, subordinato, quello di lavoro.

Lo smart working – e non mi riferisco a quello sperimentato in maniera eccezionale, bensì al sistema normalizzato dalla L. 81/2017 – non ha ancora offerto un reale supporto per la causa. 

In parte per la sua applicazione “ballerina” da parte delle aziende con introduzione a singhiozzo, in parte per la riproduzione da remoto di fonti di stress tipiche dell’ufficio. Quindi smart ok solo se c’è libertà organizzativa, avere degli orari d’ufficio ed essere bloccato a casa secondo questi orari è nuovamente una forma di controllo. Altrimenti, come ha detto lo scrittore Antonio Laudazi, “intelligente” sarebbe non lavorare affatto! In sostanza, lo smart working abbiamo capito che si può fare ma dobbiamo ancora capire come farlo bene.

La gestione del tempo di vita

Quindi il nodo non è tanto una modalità operativa da remoto, quanto la gestione stessa del tempo di vita: la mancanza caratterizza la nostra condizione esistenziale di uomini moderni. Materialmente non ci manca nulla di quello che riguarda l’agio e il consumo, però il paradosso dell’età del consumismo è che non abbiamo sufficiente tempo per le attività alternative! 

In epoca moderna i tempi di lavoro sono diminuiti mediamente a 175 giorni salariati l’anno, con l’aspettativa di vita invece aumentata notevolmente. È falsa l’idea che vivendo più a lungo siamo costretti a lavorare di più, perché nei fatti è il contrario: viviamo più a lungo perché i giorni di lavoro in un anno si sono dimezzati rispetto al 1850. Però il tempo libero è una risorsa non rinnovabile e non acquistabile. Mettere al centro “il tempo” e non “il lavoro” significa ridurre la sovrapproduzione, lo stress e l’inquinamento. 

È un esercizio di immaginazione, non ci manca niente, solo il tempo. 

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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