<<In tutti gli anni in cui ho visto la Silicon Valley crescere e produrre oligarchi miliardari, ancora non ho visto uno di loro usare la ricchezza per qualcosa di veramente generoso o illuminato.>> Rebecca Solnit
I grandi ricchi sono sempre esistiti, eppure, la differenza tra i grandi ricchi e i poverissimi è ben più marcata oggi nei moderni regimi democratici occidentali di quanto lo fosse nella Francia dell’Ancién Regime. Non solo, nell’età digitale, i grandi capitalisti sono soprattutto “giga-capitalisti”.
Con la pandemia e il boom degli acquisti online, Jeff Bezos ha aggiunto 80 miliardi al suo già notevole patrimonio. Amazon ha un fatturato di 386 miliardi di dollari ed è diventata una delle più grandi società americane al pari di realtà storiche come Exxon Mobil, General Electric o banche quali JP Morgan e Wells Fargo.
Non solo, se gli utenti virtuali delle piattaforme social gestite da Meta Platforms fossero una nazione, con 2 miliardi di persone questa nazione sarebbe la più popolosa del pianeta e Mark Zuckerberg il loro presidente.
Controllando i servizi di rete di Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger è a capo di un’impresa da 85,9 miliardi di dollari di fatturato. Infine, il 25 aprile, con l’acquisto di Twitter per 44 miliardi di dollari anche il CEO di Tesla Elon Musk (già fondatore di PayPal) è entrato nel club dei giga-capitalisti.
Dopo Bill Gates con la Microsoft, oggi sono Bezos, Zuckerberg e Musk l’esempio di detentori di un nuovo tipo di monopolio che ambisce non solo a competere contro gli Stati sovrani ma anche influenzare il pensiero di milioni di persone.
Come contrastare questi monopoli con leggi – esempio il Digital Service Act appena messo a punto dalla Commission e europea – e tasse giuste a fronte degli enormi ricavi, è la grande sfida degli antitrust in America e in Europa.
Ma come nasce il Gigacapitalismo? Dobbiamo considerare l’economia digitale come una piramide – esattamente come abbiamo la piramide alimentare – e comprendere cosa sta al vertice e cosa alla base.
Una piramide essenzialmente “americana” che conferisce un soft power agli USA di cui ancora non abbiamo compreso tutto il potenziale, una sorta di alter ego della loro potenza militare.
Al vertice abbiamo i microchip, il cuore del sistema, e un’azienda strategica che li produce su tutti: Intel. Poi sotto ci sono i sistemi operativi, Windows per Microsoft, Android per Google e iOS per Apple. Un gradino ancora sotto troviamo le piattaforme dei social network, li abbiamo nominati sopra i principali, che appunto fanno capo a Meta, insieme a Twitter diventata ora azienda privata. Infine troviamo i servizi e-commerce, con Amazon che fa la parte del leone, e alla base i servizi finanziari quali PayPal e le piattaforme di contenuti come Netflix.
Abbiamo nominato solo i più importanti e a ben vedere sono tutte realtà californiane insediate tra San Francisco e San José, con l’Università di Stanford come link intellettuale.
Al Gigacapitalismo della Silicon Valley, la Cina sta cercando di rispondere con un Gigacapitalismo di Stato. Ma, senza capacità di produzione dei microchip, che è costretta essenzialmente a importare, al momento ha conquistato il pianeta solo con il social TikTok.
La faccenda delle piattaforme digitali non è secondaria per chi lavora. Tutti noi le utilizziamo – Workitect stessa ha un account Facebook e Instagram – e condividiamo con loro i nostri dati. Ecco dove sta il potere del Gigacapitalismo e la sua fonte di ricchezza: privatizzare le nostre informazioni e quelle che dovrebbero essere pubbliche!
Concentrandosi su Elon Musk, torniamo alla faccenda delle piattaforme che sono capaci d’influenzare il pensiero di milioni di persone e Twitter è il social per eccellenza della politica.
Prima Obama nel 2008 poi Trump nel 2016 ci hanno fatto campagna elettorale online con proficuo.
Ritirata dalla Borsa di New York, oggi Twitter non è più una public company e cosa voglia farsene l’eccentrico miliardario è dibattito interessante.
Oltre alle automobili elettriche Tesla, l’altro suo grande business è l’agenzia spaziale SpaceX (Musk ha messo a disposizione i suoi satelliti Starlink all’esercito ucraino per individuare i movimenti delle truppe russe…), nonché meritano citazioni le start up che fanno ricerca sull’intelligenza artificiale OpenAI e Neuralink.
Quest’ultima studia interfacce neurali che possano essere impiantate nel cervello umano, ovvero dispositivi che potrebbero consentire un dialogo diretto dei neuroni con i dispositivi informatici.
Che in futuro non sia più necessario digitare sulla tastiera dello smartphone per postare un tweet ma basterà pensarlo!? Oggi sembra fantascienza, ma forse un social network era l’ultima arma mancante a Elon Musk nella sfida a chi raggiunge per primo il futuro.