Il controverso mito della crescita economica nell’era digitale

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Qualche tempo fa rimasi impressionato nel leggere che, con l’utile di bilancio, la Apple avrebbe potuto permettersi l’acquisto di una realtà industriale dalle dimensioni quali la Volkswagen. Questa curiosità rende bene l’idea di che ordine di grandezza siano i profitti che generano le Big Tech.

L’era digitale ha cambiato i “rapporti di forza” tra produzione e servizi, e per rendersene meglio conto basta fare un raffronto per esempio con quelli che erano i colossi dell’economia fino a 25 anni fa.
Ovvero gli anni Novanta, il momento storico in cui le invenzioni tecnologiche che oggi dominano il mercato digitale furono rese disponibili a uso civile.
Oggi le 5 più potenti aziende del mondo in miliardi di dollari di capitalizzazione sono tutte nell’high tech:

  1. Apple, 2.240 mld;
  2. Microsoft, 1.950 mld;
  3. Amazon, 1.690 mld;
  4. Alphabet – Google, 1530 mld;
  5. Meta – Facebook, 855 mld.

Eppure, queste 5 multinazionali impiegano la metà dei lavoratori che erano impiegati nelle 5 principali realtà dell’era “analogica”. Certo, il contesto storico è cambiato, ma è curioso fare qualche raffronto aiutandosi con i dati aggregati recuperati da Il Sole 24 Ore.

Nel 1994 le prime 5 aziende per utili erano: Shell, General Motors, Exxon Mobil, General Electric e Altria. Al momento sono: Apple, Bank of China, Samsung, China Construction e Microsoft.

Sempre nel 1994 le prime 5 aziende per capitalizzazione erano: Nippon Telephon, General Electric, Exxon Mobil, General Motors e Walmart. Al momento sono: Microsoft, Apple, Amazon, Alphabet e Berkshire Hathaway Finance. Quindi, essenzialmente, l’industria pesante ha lasciato il top ranking a tecnologia e finanza.

Tra la buona e la cattiva sorte dell’economia nell’era digitale, il recente caso della catena di licenziamenti nelle società high tech, ha svelato il lato oscuro del sistema creato dalle Big Tech? In complesso, negli ultimi mesi, qui sono oltre 170 mila le persone sacrificate per motivi di bilancio. Riduzione di personale da Amazon a Twitter, da Microsoft e Google, da Facebook a Zoom, da Salesforce a Wayfair, solo a Apple pare si salvino.

Certo, per il mercato del lavoro nordamericano i numeri sono relativamente esigui, ma qualche dubbio sulla solidità dell’economia digitale rimane: una diminuzione dei “consumi digitali” si traduce in licenziamenti di massa.

Ad esempio Google, a cavallo del 2020 – 2021, quindi durante la fase più acuta della pandemia, la società del gruppo Alphabet ha realizzato grandi profitti e assunto 50 mila nuovi collaboratori.

Nel 2022 i consumi digitali sono diminuiti e per conseguenza ha scaricato “l’effetto frusta” dei mercati azionari con il taglio delle risorse umane: 12 mila persone a casa. I numeri sono in linea con le altre Big Tech: Amazon ha tagliato 19 mila lavoratori, Facebook 11 mila e Microsoft 10 mila.

Adesso sorgono spontanei due quesiti.

Il primo è quello che riguarda la tecnologia. Il digitale oltre a creare occupazione di qualità doveva liberarci dall’ufficio e dallo stress della presenza. Ne è nata una nuova forma di burnout e i licenziamenti via mail, con semplice disconnessione del lavoratore dalla piattaforma aziendale.

Il secondo è che a forza di curare gli interessi degli azionisti, quindi licenziare per mantenere il medesimo saggio di profitto, fino a quando si potrà far pagare alle persone le frustate di Wall Street?

In conclusione, è indubbio che il settore dell’high tech abbia raggiunto un incredibile potere economico (e fornito anche influenza socio-politica, da Chiara Ferragni a Donald Trump), ma pure tenga insite delle fragilità, maggiori di quanto si sia ammesso finora. E, soprattutto, che il mito della crescita infinita si riveli anche in questo caso falso.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.