Green Deal, la Ue trova l’accordo: 55% di riduzione delle emissioni entro il 2030. Il ruolo della finanza nella lotta al climate change

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Nella notte tra il 10 e l’11 dicembre, l’intesa è raggiunta dopo una lunga trattativa per superare il no della Polonia che ha una economia ancora fortemente legata al carbone. Il semestre di presidenza UE della Germania si chiude con una doppia vittoria per Angela Merkel, esce di scena facendo approvare al Consiglio Europeo – dopo il Recovery and Resilience Plan – anche un nuovo caposaldo della strategia politica comunitaria.

Ora questo accordo non è chiaro su che basi e dati di partenza è stato fatto, la questione non è secondaria, ma è già qualcosa considerando che il Covid-19 aveva costretto l’ONU ha rinviare al 2021 il summit di Glasgow COP26 previsto a novembre. In quella sede sarebbe scattata l’applicazione degli Accordi di Parigi sul Clima.

Mark Carney, l’inviato speciale dell’ONU per l’ambiente ed ex governatore della Bank of England, in questi giorni è tornato sulla stampa anglosassone su un tema a lui caro: gli Accordi di Parigi possono essere raggiunti se la finanza investirà su quelle aziende che dichiarano la loro vera impronta ecologica e no su chi inquina.

Carney, già quando rivestiva la prestigiosa posizione alla banca centrale di sua maestà, illustrò le condizioni che devono realizzarsi perché il settore finanziario possa davvero partecipare con efficacia alla lotta contro il climate change.

Mark Carney “tragedy at the horizont”

Per capire il fulcro della questione facciamo un passo indietro al 29 settembre 2015. Quel giorno a Londra, tre mesi prima che a Parigi venga siglato l’accordo per contenere entro 1,5 gradi l’aumento della temperatura terrestre, si tiene la conferenza della compagnia d’assicurazioni Lloyd.  Mark Carney, nel suo ruolo di Governatore della Banca d’Inghilterra, è l’ospite illustre che prende la parola.

Il suo intervento dura solo 28 minuti, ma fotografa perfettamente i rischi causati all’economia dai cambiamenti climatici. Senza giri di parole sottolinea la “tragedy at the horizont”, nonché le difficoltà per uno switch dei capitali verso l’energia verde. Dagli anni Ottanta il numero dei disastri ambientali è triplicato e per il settore assicurativo ha significato perdite passate da 10 a 50 miliardi di sterline annue.


Dopo la lettura “finanziaria” del problema, Carney espone i due paradossi che legano ambiente e capitale. Il primo riguarda appunto la “tragedia all’orizzonte”: pagata dalle generazioni future, per scongiurarla richiede investimenti a quelle presenti, che però non hanno ancora gli incentivi per farsene carico.

Il secondo è il “rischio della transizione”: una transizione energetica troppo precipitosa minerebbe la stabilità finanziaria. Se, per consentire la decarbonizzazione dell’energia, i capitali abbandonassero in maniera repentina gli impieghi in fonti fossili ancora da ammortizzare, ci sarebbe una svalutazione delle riserve di petrolio, gas e carbone tale da provocare uno shock economico. 

La sfida al 2030: il mondo a 1,5 gradi

Oggi la sfida è dimezzare le emissioni entro il 2030. Si tratta di fare investimenti in trasporti, agricoltura e industria ipotizzati dalla Banca dei Regolamenti Internazionali in 2.400 miliardi di dollari annui. Ma dove si trovano questi soldi? Ecco che si torna al primo dilemma di cui sopra, vanno chiesti incentivando investitori privati e pubblici.

Dobbiamo tenere presente che nel mondo vengono mobilitate risorse per un ammontare stimato in 100.000 miliardi di dollari ma i green bond occupano solo il 3% del mercato obbligazionario. Quindi, ricorrendo alla finanza mainstream, i soldi ci sarebbero.

Eppure, ancora nel 2019, proprio Mark Carney nel suo intervento per il Climate Action Summit all’Assemblea Generale dell’ONU ha redarguito il sistema finanziario globale. A suo dire, giudicando la natura degli investimenti, è come se il capitale stesse finanziando un aumento della temperatura globale di 4 gradi!

Significa che molti investitori sono ancora nella direzione opposta rispetto agli obiettivi degli Accordi di Parigi. A primavera, al termine del suo mandato alla Bank of England, ha auspicato che i paesi con le economie più industrializzate investano nei settori green per la ripartenza post pandemia Covid-19.

Per costruire un sistema economico in ottica del “mondo a 1,5 gradi”, l’Unione Europea, da sempre capofila nel mondo per definire gli standard, gioca la partita più importante sul pianeta. Speriamo ne sia consapevole.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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