L’obsolescenza programmata è la perversione del consumismo digitale

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Per chi come il sottoscritto ha avuto il suo primo telefono cellulare tra la fine dei Novanta e i primi anni 2000, Nokia rappresenta un marchio mitico. Per la stragrande parte di noi teenager dell’epoca scoprimmo grazie alla multinazionale finlandese la telefonia mobile a prezzi accessibili a tutti. Quello era il momento di picco del brand che solo in Italia contava oltre 100 dipendenti.

L’azienda, nel 2011 ebbi modo di visitare i suoi uffici della filiale a Tallinn, già allora forniva a tutti i suoi collaboratori una connessione VNP e tutti i tools necessari per consentirgli di lavorare ovunque. Da qualunque punto dell’edificio occupato nella capitale estone era possibile collegarsi al Wi-Fi, che detto oggi sembra una banalità.

Logiche di mercato vs. Steve Jobs

Ma la storia più interessante su Nokia riguarda come è iniziato il suo declino commerciale. Nel 2004 al quartier generale di Espoo c’era tutto in termini di budget per la ricerca, tecnologia e marketing per tirare fuori lo smartphone, ma non fu fatto. Forse l’avevano pensato lì prima di Steve Jobs, ma quelli di Nokia si fecero scavalcare dalla Apple. Come mai? Perché si affidarono troppo a un’indagine di mercato che avevano commissionato, in cui alle persone veniva chiesto se gli poteva piacere “un telefono senza tasti”. Dato che nessuno l’aveva mai visto un cellulare del genere, la risposta istintiva fu “No”! Quindi lasciarono perdere, credendo che il pubblico non avrebbe apprezzato, anche perché fino al 2007 con il 51% di quota di mercato erano ancora il primo venditore di telefonia mobile.

Steve Jobs invece, da visionario qual era, scommise invece che un “telefono senza tasti” avrebbe funzionato – anche perché la tecnologia touch screen era già disponibile a uso civile – e il resto è storia. Nel frattempo Nokia commise pure l’errore di non dotare i suoi dispositivi del software Android, che però stava diventando il sistema più diffuso per la telefonia mobile, così persero ulteriore quota di mercato. Nel 2014 Nokia è stata rilevata da Microsoft e il core business è ormai diventato da tempo quello dei servizi per le infrastrutture di rete.

Il tentativo di Nokia di una telefonia più sostenibile.

Adesso però Nokia torna alla ribalta e lo fa con una scelta contro l’obsolescenza programmata,
lanciando uno smartphone riparabile fai-da-te. A fine febbraio hanno svelato un innovativo apparecchio che può essere riparato grazie ad un apposito kit e acquistando i singoli pezzi da sostituire. Si tratta del Nokia G22, uno smartphone che è stato presentato al Mobile World Congress di Barcellona, frutto della collaborazione con iFixit, una comunità globale di persone che si aiutano a vicenda per riparare cose. È basato su Android 12, ha una batteria di durata fino a tre giorni, ed è rivestito da una cover posteriore realizzata in plastica riciclata al 100%. Quello compiuto dalla multinazionale finlandese rappresenta un importante passo avanti nella lotta contro l’obsolescenza programmata, che ha un impatto pesantissimo sull’ambiente. 

Il lato oscuro di questa spirale di continuo bisogno di rinnovamento e vendita dei prodotti è infatti un’immensa quantità di rifiuti, soprattutto tecnologici, solo nell’Unione Europea stimati in 2,5 miliardi di tonnellate all’anno. L’obsolescenza programmata produce un’eccessiva estrazione di minerali (litio, cobalto, rame, terre rare…) e l’impiego di materiali plastici che incidono anch’essi sull’ambiente, oltre a causare un’insoddisfazione latente nei consumatori, che arrivano a indebitarsi o stressarsi per ottenere l’ultimo modello. 

La morale di questa storia può essere che un’altra scelta contro le logiche di mercato possa nuovamente essere visionaria. E per questo vincente.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.