Morire sul lavoro a 18 anni in Italia

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L’Italia ha un assunto solenne nel primo articolo della sua Costituzione, ovvero quello di essere una Repubblica fondata sul lavoro. Eppure, in questa repubblica muoiono mediamente due persone al giorno sul luogo di lavoro.

Non è un dato da paese civile. Nel 2021, secondo anno segnato dalla pandemia, sono stati 1.404 le “morti bianche” nel nostro paese. L’ultimo decesso in Friuli ha avuto un risalto mediatico e per un giorno ha messo in coda le notizie sulla pandemia e l’elezione del Presidente della Repubblica. Perché Lorenzo era giovane, aveva 18 anni ed era all’ultimo giorno di tirocinio per l’alternanza scuola-lavoro. Una morte inaccettabile, ma tutte le morti sul lavoro sono inaccettabili, qualunque sia l’età.

Com’è possibile che nel 2022 in Italia si muoia schiacciati da un tornio, una trave o incastrati in un orditoio come cinquant’anni fa?

Credo bisogna comprendere il carattere dell’industrializzazione italiana e mi aiuterò nella narrazione con l’esempio di un territorio che conosco bene, quello di Prato, l’ex capitale del tessuto a livello mondiale. Una ricchezza costruita sulla lavorazione del “cardato”, che ha segnato la vita di molte persone, nel bene e nel male: un impero fondato sulla lana rigenerata. Il telaio dava ricchezza, benessere ma anche infortuni sul lavoro.

In un mitico film di Francesco Nuti, Madonna che silenzio c’è stasera, a un certo punto vengono mostrati lavoratori senza dita, la perdita delle falangi come tratto fisiognomico della carriera dei tessitori. Purtroppo in troppi hanno perso la vita oltre che mani e dita in questi macchinari. Tipo l’orditoio che lo scorso anno ha ingoiato e stritolato Luana, un’operaia di 22 anni, altro caso di cronaca nazionale. 

Quindi, alla domanda sul perché in Italia si muore sul lavoro come cinquant’anni fa, la risposta è perché senza cultura della prevenzione, investimenti, formazione e controlli dell’ispettorato, la tecnologia da sola non aiuta.

Ma la sicurezza è un problema a valle e non a monte.

A monte c’è il declino di un sistema economico e dei diritti del lavoro, precarizzazione e la dicotomia di settori che vede brand fare profitti stratosferici e miriadi di piccole ditte che lavorano conto terzi con un margine sempre più basso di profitto.

Aziende, spesso a gestione familiare, costrette a produrre sempre più al limite da realtà più grandi – magari che sono sempre più inglobate in multinazionali dentro un sistema di “scatole cinesi”dove la proprietà è in mano a un fondo d’investimento con sede in qualche paradiso fiscale – che impongono prezzi e quantitativi.

In questo gioco al ribasso ne risentono le attività più piccole, dove spesso il padrone lavora a fianco dei suoi operai con le solite mansioni. Poi c’è la scarsa cultura della sicurezza e macchinari che hanno fatto il loro tempo – non ci sono i margini per investire in nuove – hanno protezioni rimosse o può capitare la fatalità di una fotocellula che non entra in funzione quando dovrebbe. 

Ho citato il caso del distretto tessile toscano – che oltre a Prato comprende le aziende dei confinanti comuni pistoiesi – perché qui ci sono solo una cinquantina d’ispettori del lavoro per un’area tra le più industrializzate a livello europeo, con oltre 30 mila aziende.

Quindi, basta questo dato per capire che in Italia su 3 milioni 300 mila aziende censite ci siano in media solo 15 mila ispezioni l’anno.

In pratica, l’INAIL non ha risorse e personale sufficiente per operare dignitosamente, un problema che lascia soli aziende e lavoratori. E questo nonostante l’Italia con il D.Lgs 81/2008 abbia una delle normative più avanzate in materia di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro.

C’è bisogno di più personale all’ INAIL e nelle ASL di tutto il Paese, dove ci sono forti carenze negli uffici dedicati ai controlli” ha detto il ministro Andrea Orlando.

Il problema delle morti bianche è quindi complesso e intreccia questioni economiche, culturali e sociali. Non lo risolveremo in qualche giorno, speriamo la situazione migliori se dopo la strage della pandemia sanitaria diventerà questa la priorità, ma per Lorenzo e tutti gli altri sarà sempre troppo vergognosamente tardi.  

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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