Next Generation EU, bivio esistenziale per l’Europa

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Il 2 dicembre 2019, in occasione della conferenza ONU sul clima COP 25 di Madrid, la presidente Ursula Von der Leyen ha lanciato un piano di progettualità comune denominato “Green New Deal” con l’ambizione di far raggiungere la neutralità climatica alla UE al 2050.

Con la pandemia sanitaria da Covid-19, la scorsa primavera l’attuazione del Green New Deal passa attraverso il programma Next Generation EU – il cui scopo è costruire un futuro più salutare e sostenibile per le nuove generazioni di europei – attuato tramite il cosiddetto Recovery and Resilience Plan.

Il finanziamento cardine per la “ripresa verde” post-Covid è uno stanziamento da 750 miliardi di Euro (all’Italia ne spettano ben 209) finanziato con l’emissione di titoli garantiti dalla Banca Centrale Europea.

Il Next Generation EU: strategia e politica

Il 17 settembre la Commissione Europea ha pubblicato gli orientamenti strategici del Plan, dove è emerso che per raggiungere gli obiettivi del Next Generation EU si dovranno destinare il 37% dell’ammontare complessivo delle risorse ad azioni per il clima e adattamenti ai cambiamenti climatici, in breve la “transizione energetica”.

Un’altra quota importante, il 20% delle risorse, dovranno essere destinate alla “rivoluzione digitale”. Per beneficiare dei fondi, i paesi EU devono presentare entro il 30 aprile il proprio piano nazionale di impiego dei fondi, tenendo di conto degli orientamenti strategici di cui sopra.

L’onere di presentare il piano per l’Italia spetta adesso al nuovo governo a guida Mario Draghi. Ci auguriamo che l’esecutivo abbia il coraggio di mettere in campo progetti e si delinei una strategia basata sul rinnovamento dei processi produttivi coerenti con gli obiettivi di decarbonizzazione.

L’attuazione del piano è coordinata da una task force ad hoc istituita presso la Commissione e supervisionata dal Commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni.

L’erogazione dei fondi europei è collegata agli step e i progressi nell’attuazione degli investimenti e delle riforme. Come per i fondi europei standard, si applica il sistema di misurazione che va a verificare obiettivi intermedi e finali raggiunti.

Attenzione, non sono soldi che ci vengono regalati, se i processi sono ritenuti insoddisfacenti dalla Commissione, il contributo agli stati membri può essere sospeso. Ancora, i soldi vanno impegnati al 2023 e bisogna essere bravi a spenderli tutti al 2026, pena la revoca.

Se questo è l’indirizzo strategico, vale la pena ritornare su quelli “politici”, già indicati dalla presidente Ursula von der Leyen.

Le riforme e gli investimenti supportati dal Recovery and Resilience Plan dovranno essere a sostegno della “transizione verde” nei settori dell’energia, dei trasporti e della decarbonizzazione dell’industria.

L’altro caposaldo è la “transizione digitale”, premessa per un salto della produttività e l’autonomia strategica aperta dell’Europa. Quindi chi in Italia ha riproposto il Ponte sullo Stretto di Messina o ci prende in giro o non aveva capito le raccomandazioni di Bruxelles.

Il futuro dell’Europa nella sfida globale con Cina e USA

Potremmo pensare che la logica a monte del Next Generation EU è inaugurare una nuova stagione del capitalismo, dopo la fase novecentesca del capitalismo industriale e quella contemporanea del finanziario.

La famosa transizione passa da una visione ecologica delle nuove infrastrutture, l’agricoltura, il turismo sostenibile, la cultura e le riforme per innescare un modello di economia circolare. Ma non è sufficiente.

Da Bruxelles chiedono anche le riforme che inneschino le <<giuste condizioni per la rapida attuazione dei progetti d’investimento>>: istituzioni efficaci, sistemi giudiziari efficienti, amministrazioni pubbliche di qualità.

Se la cornice europea del Recovery and Resilience Plan è ufficialmente definita, il successo o meno del medesimo nel nostro paese è la più grande sfida a cui è chiamato il nuovo governo.

L’Italia è il principale membro UE beneficiario dei fondi, ma il timore del corretto impiego è legato alle storiche fragilità italiche più che alle capacità di Draghi e dei suoi “superministri” quali Franco, Colao, Cingolani o Giovannini. 

Il Rapporto Censis 2020 lancia l’avvertimento: <<le nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali – benché tamponate da misure straordinarie durante l’emergenza sanitaria – rischiano di ripresentarsi il giorno dopo la fine della pandemia più gravi di prima>>.

La posta in gioco è molto alta sia per il nostro paese che il continente. Per l’Italia perché occorrono misure “strutturali” – dato che è impensabile sprecare un’occasione come quella offerta dal Next Generation EU/ Recovery Plan – per l’Unione Europea perché deve affermare un modello economico sovrano, che non la lasci addietro rispetto alle altre potenze Cina e Stati Uniti.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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