Non andate in vacanza con gli smart worker

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Ho avuto delle pessime vacanze in Croazia viaggiando con Nadia, la mia compagna smart worker. Lei sta facendo workation, ovvero lavora per una società di sviluppo software mentre è in vacanza. Io ho preso le mie ferie agostane da ragioniere impiegato e l’ho raggiunta sulla costa dalmata.

Per me sono i classici 15 giorni in cui l’ufficio si svuota e l’azienda viene sprangata. Lavora per la filiale italiana di una multinazionale americana e ha dei vantaggi. Noi abbiamo l’orario fisso rigorosamente dalle 8:00 alle 12:00 e dalle 14:00 alle 18:00 e quindi considerando che alla casa madre – fuso orario di Chicago – entrano in ufficio quando da noi sono le 13:00, potenzialmente la mattina scorre senza scocciature e posso farmi i fatti miei.

Sono circa 20 ore la settimana che riesco ad oziare. Solitamente, poi, perdo mezz’ora di tempo in archivio a ricercare qualche documento e aggiungendo mezz’ora di pausa caffè il totale di ore di stipendio “rubate” può salire a 25! D’altra parte sono stato istruito a timbrare il cartellino con puntualità, non a essere produttivo. Risultati, a noi dell’amministrazione, nessuno ce li chiede. Quindi, bene niente smart working, sia mai che trovino il modo di verificare chi effettivamente è produttivo e chi no!

Nadia invece è da tempo una smart worker. Il suo contratto prevede la possibilità di lavorare da remoto da dove vuole. Negli ultimi mesi hanno pure ridotto gli spazi della sede mettendo tutti i dipendenti in smart working a turno. Una volta sono andato a visitarla a sorpresa in ufficio e ho trovato nei loro locali un’altra impresa, scoprendo che avevano affittato un piano dell’edificio a una start-up. Che assurdità, io che custodisco gelosamente la mia postazione, mai avrei lasciato cedere la mia scrivania!

<<Se qualcuno ti assegnasse dei compiti e delle scadenze, sganciandoti dalla presenza in ufficio, troveresti più stimoli nel tuo lavoro>> dice lei.

Già, la mia situazione è quella evidenziata anche dal centro di ricerche Gallup che ha recentemente pubblicato il suo annuale Global Workplace Report – un’analisi condotta su oltre 150mila persone in 160 Paesi del mondo – fornendo un’istantanea della condizione sia fisica che psicologica delle persone al lavoro. Il focus sull’Italia sembra particolarmente drammatico. Tra i connazionali intervistati solo il 4% è risultato “coinvolto al lavoro”, dato più basso di tutti i Paesi europei presi in esame. Forse perché quasi uno su due si è detto stressato e il 45% preoccupato. Ma soprattutto, siamo al secondo posto per persone che provano tristezza quando lavorano: si sente così più di una persona su quattro. Infine, siamo anche all’ultimo posto continentale per percezione di opportunità nel mercato del lavoro. 

<<Nel tuo dipartimento Account & Finance passate 8 ore a fare un lavoro per il quale, se organizzato, occorrerebbe la metà del tempo – oltre all’ora sprecata nel traffico per raggiungere quegli uffici – e avete una produttività da paese a regime socialista, altro che americani>> mi schernisce.

In effetti la mia condizione di subordinato mi mette tristezza, perché se potessi fare smart working la mattina avrei più tempo per conciliare gli impegni. Ma scaccio subito questo pensiero negativo!

<<Figuriamoci! Ieri pomeriggio sono andato in spiaggia e tu hai fatto la call con i colleghi in Asia… Quando si è in ferie si fanno le ferie>> ribatto.

<<Anche tu, a modo tuo, fai workation – Nadia provoca – se vi concedessero lo smart working, non passeresti la mattina vagando per l’ufficio in attesa di istruzioni dall’alto! Ma il vostro CEO è contento di vedere tutti i collaboratori che come soldatini riempiono gli uffici e il suo ego>>.

Al suo ennesimo elogio dello smart working mentre sorseggiamo una fresca pivo sul lungomare di Spalato, sbotto:

<<Ma quale smart working, io voglio fare l’autogestione! Guarda, dato che siamo nei Balcani… Edvard Kardelj, economista e filosofo sloveno, aveva teorizzato l’autogestione dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori nella Jugoslavia socialista. Quella sì che era flat organization! Magari non lo hai mai sentito nominare, ma Kardelj è considerato uno dei grandi filosofi del Novecento, a lui nel 1974 il Maresciallo Tito incaricò di redigere la nuova costituzione della Repubblica Federale. Fece un monumentale lavoro in cui teorizzava l’autogestione come fine ultimo della costruzione del sistema socialista. Con il perfezionamento dell’autogestione, si sarebbe potuto anche sciogliere il Partito Comunista Jugoslavo e perfino… lo Stato! Ecco, noi dobbiamo ambire all’autogestione dell’ufficio!>>. 

<<Così sarete i primi a portare i libri in tribunale quando scioglieranno la società?>>

Non l’ho convinta. Però, forse, a settembre presento le dimissioni… Che vacanza del cavolo!

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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