Philip Vanhoutte: «Il futuro del lavoro? Diffuso, più che da remoto»

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Articolo di Michele Razzetti su Vanity Fair

Il «Distributed Activity Based Working» è una rivoluzione che annulla alcuni degli aspetti negativi dello stile lavorativo a cui ci siamo assuefatti.

Sotto i colpi del CoViD19 la concezione tradizionale del lavoro, che ha retto grosso modo per una sessantina d’anni, si sta incrinando. Se sia un male o un bene è difficile dirlo. Noi ne abbiamo abbiamo parlato con Philip Vanhoutte, uno dei più riconosciuti esperti di lavoro agile al mondo, chiedendogli cosa possiamo aspettarci da questa situazione. Ne discuterà anche nel corso di Smart Working & Mobility: il lavoro e le città del futuro, evento online organizzato da Workitect martedì 27 ottobre (per partecipare potete cliccare qui).

Oltre l’opposizione casa/ufficio

Lo sappiamo, stiamo usando tutti erroneamente il binomio smart working per indicare il lavoro a distanza, in questi mesi essenzialmente da casa. Ma lo smart working come concetto va ben oltre; è piuttosto il lavoro agile, quello che si adatta alle condizioni particolari di aziende e individui. «Purtroppo in Italia lo smart working viene associato solo al lavoro da casa che rimane, al di là della situazione straordinaria, una delle possibilità date al lavoratore. Ma in realtà fa parte di un cambiamento che non riguarda solo il dove lavorare ma anche il come e il quando, e impatta quindi su tecnologia, spazi e organizzazione» commenta Luca Brusamolino, CEO di Workitect e organizzatore dell’incontro.

Il lavoro da casa di fatto non può essere la soluzione per tutto e molti di noi lo hanno provato sulla propria pelle. Il futuro secondo Vanhoutte è piuttosto nel Distributed Activity Based Working. «In tutto il mondo le persone stanno realizzando che un mix di luoghi in cui lavorare è la soluzione migliore. È un approccio semplice: lavoratori e leader capiscono che per ogni attività da svolgere esiste un luogo ideale. E questo cambia per ognuno di noi in base ai suoi doveri, alla personalità, allo stile lavorativo e alla vita privata. Ma ciò che importa è allargare lo spettro delle possibilità: non c’è solo l’alternativa ufficio/casa. In questo caso si parla di Workspace Portfolio Management (la gestione dei luoghi di lavoro, ndr): ogni professionista pensa accuratamente ogni giorno a ciò che deve svolgere e poi sceglie il luogo migliore per farlo» ci spiega.

Che poi a ben pensarci, come siamo finiti a lavorare 5 giorni alla settimana per otto ore seduti davanti a un pc? Di sicuro non è un’evoluzione naturale e gli effetti negativi, infatti, sono molti (alcuni li trovate nella gallery). Vanhoutte si domanda perché nella maggior parte dei lavori manchi, ad esempio, il contatto con la natura o non si prenda in considerazione il lavoro all’aria aperta.

E questo nonostante i benefici della biofilia siano molto noti. Fra questi, riprendendo quelli individuati da Ozadi, un movimento per portare la natura nel mondo del lavoro fondato da Vanhoutte stesso, ci sono una maggiore felicità e gentilezza, un incremento della creatività del 300% e delle prestazioni del 50%, una salute migliore e un minor livello di stress. Dopotutto non dovremmo poi stupirci tanto se aumentano i casi di coloro che, potendoselo permettere, scelgono modalità di lavoro insolite e a contatto con la natura (come in questo caso).

In generale, la crisi del modello professionale tradizionale dovuta al CoViD19 ha fatto emergere nuove istanze nella cultura del lavoro. «La libertà di scegliere dove, quando e come lavorare fintanto che si ottengono buoni risultati; l’importanza dell’autonomia che è il modo migliore per avere buone prestazioni professionali e crescere, come è stato dimostrato anche dalla psicologia; l’uguale diritto di tutti i lavoratori ad avere accesso al lavoro flessibile».

Un diritto che spesso però è negato. Dagli stessi imprenditori o dai manager. «Trovo ridicolo che molti lavori come il medico o l’autista prevedano un titolo o una patente, quando molte persone diventano manager, leader di altri lavoratori senza nessuna licenza per farlo. Abbiamo urgentemente bisogno di una patente per coloro che guidano le persone. I manager sono una delle ragioni principali dell’esaurimento da lavoro».

Tuttavia Vanhoutte è molto ottimista a questo proposito. «Il Covid19 ha messo una grande bomba sotto lo stile di lavoro basato sull’ufficio tradizionale e gli orari fissi. Anche i leader più scettici sono stati costretti a darsi un freno. Il lavoro agile è una soluzione che porta benefici a tutti: lavoratori, datori di lavoro, società e pianeta».

Molti lavoratori hanno toccato con mano i vantaggi del lavoro flessibile e difficilmente vorranno rinunciarvi. «Le persone chiederanno di continuare a lavorare da casa per quelle attività che possono essere svolte meglio lì piuttosto che in ufficio. Se hai un ufficio fantastico nella tua azienda, sarai magari entusiasta di tornarci, ma non tutti i giorni. Ma senza dubbio i lavoratori non vorranno tornare a perdere tempo e a inquinare con il pendolarismo, ad esempio».

Il futuro del mondo del lavoro

Comunque a vada a finire, Vanhoutte si rallegra che questa situazione complessa abbia portato maggiore consapevolezza sul modo in cui svolgiamo il nostro lavoro. «Ora il modo in cui lavoriamo è una questione da affrontare nelle stanze decisionali, nei consigli di amministrazione. Questo è un risvolto positivo della pandemia».

Alla domanda su come vede il futuro del mondo del lavoro, ci ha risposto partendo da tre considerazioni: dobbiamo evitare gli spazi al chiuso, quelli affollati e quelli in cui c’è contatto con altre persone. «Questo fa sì che la maggior parte del lavoro sarà svolto solo eccezionalmente in ufficio».

E per ovviare ai limiti delle aree di lavoro improvvisate in casa immagina la soluzione «di uffici singoli che siano in azienda, a casa o in un coworking. In tutti questi casi c’è bisogno di molta natura all’interno. È giunto il momento di dire basta alle jungle urbane tutte cemento e macchine, e di rientrare in contatto con la natura e con attività energizzanti come la bicicletta che può essere usata anche per gli spostamenti legati al lavoro».

Un percorso più semplice a dirsi che a farsi. Proprio per questo secondo Vanhoutte «abbiamo più bisogno di workitect (cioè coloro che progettano il modo in cui si lavora, ndr) che di architetti. La mia formula include quindi più politiche a sostegno del lavoro agile, più natura, meno autovetture e più biciclette».

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