Smart working: cambia il lavoro e anche la città

Indice dei contenuti

Articolo di Manuela Zoccola per Gazzetta D’Alba

Una delle strategie di contrasto alle limitazioni nel mondo del lavoro dovute al Covid-19 è il ricorso sempre maggiore allo smart working: associato di solito al lavoro da casa, in realtà l’espressione significa letteralmente “lavoro intelligente” e si differenzia dal telelavoro. Abbiamo approfondito l’argomento e l’impatto che potrebbe avere sulla mobilità e le città che si prefigurano nel futuro con Luca Brusamolino, laureato in organizzazione e risorse umane, tra i massimi esperti di smart working in Italia e amministratore delegato della Workitect.

Che differenza esiste in realtà tra telelavoro e smart working, Brusamolino?

«Il primo è un istituto giuridico, nel cui ambito si lavora sempre da remoto, rispettando l’orario di ufficio; la postazione di lavoro – di cui il datore è responsabile – coincide con il domicilio. Lo smart working (detto anche la- voro agile) offre, invece, possibilità più o meno ampie, a seconda del rapporto tra azienda e addetto, e consente di operare sia a casa sia in altri contesti. È quindi un nuovo sistema organizzativo, con una maggiore flessibilità nella scelta dei luoghi (dove), dei tempi (quando) e delle modalità di lavoro, che si basa più sugli obiettivi da raggiungere che sull’orario. Per legge, inoltre, il freelance non può essere smart worker, perché il lavoratore “agile” deve fare riferimento a un la- voro subordinato».

Quanto è diffusa la pratica dello smart working in Italia?

«Prima della pandemia era appannaggio delle aziende più grandi. Ultimamente, invece, in conseguenza del Covid-19 e per poter continuare le attività, si è accelerato un processo a cui si sarebbe arrivati tra un decennio. Le aziende e le pubbliche Amministrazioni non erano pronte culturalmente e tecnicamente».

Lo smart working può anche ridisegnare le città?

«I sistemi urbani devono essere pensati per accedere a tutto in prossimità, lavoro compreso, non necessariamente da casa, ma vicino alla sede originaria. Il Covid-19 sembra invece cambiare il trend urbano monocentrico. Legando, infatti, l’urbanistica e la mobilità a nuovi modelli occupazionali, il sistema monocentrico crolla, perché non ci si deve più spostare necessariamente. Periferia e provincia possono così rivivere. Si può immaginare, quindi, una città policentrica, che includa le periferie».

Nei mesi scorsi, lo smart working ha comportato una significativo perdita economica per molti bar e attività di ristorazione. Quali altre criticità gli si possono attribuire, Brusamolino?

«Il rischio di estremismo, rispetto al tema del giusto equilibrio tra responsabilità e autonomia e di una minore identità, per l’alienazione da certe routine legate alla socialità del lavoro dal punto di vista psicologico e organizzativo. L’azienda ha bisogno, invece, che le persone si sentano parte attiva di qualcosa. Inoltre, le disparità economiche possono incidere nei momenti difficili, qualora manchino le disponibilità materiali per gestire al meglio la commistione tra casa e lavoro, ad esempio per pagare una babysitter. Infine, vanno considerate le difficoltà di accesso a Internet e alla rete infrastrutturale in certi punti del territorio, anche per la particolare morfologia del Paese».

Quindi, il lavoro agile come può essere davvero intelligente? Su cosa è fondamentale investire per passare a questa modalità?

«Deve diventare una sintesi tra l’azienda, affinché sia più produttiva, e il lavoratore, affinché lavori e viva meglio. Non dev’essere una sfida o un conflitto tra le diverse parti, ma un’occasione per un punto di incontro. L’aspetto tecnologico è la condizione sine qua non, perdarelapossibilitàdiaccessoallavoro»

Rispetto al tema, qual è l’orizzonte normativo?

«Serviranno nuove regole. I contratti nazionali parlano infatti di salario orario. È auspicabile un nuovo modello di diritto del lavoro, anche se non ne vedo i pre-supposti in Italia, al momento poco riformista. L’attuale sistema è fondato sul contratto collettivo nazionale, non aziendale. È centrale, invece, la specificità di ogni situazione. Inoltre, il numero dei freelance è in crescita. La legge 81 del 2017 mette insieme lavoro autonomo e dipendente, cercando di aumentare le tutele del primo e di rendere flessibile il secondo, sancendo per legge l’esistenza dello smart worker».

Ma si può creare in casa una postazione di lavoro adeguata?

«Premesso che la soluzione dipende da diversi fattori, come le dimensioni dell’abitazione e le singole situazioni familiari, occorre fare working studio nelle case per rendere la zona lavoro il più accogliente possibile, ad esempio per acustica, luce ed ergonomia. Si potrebbe ovviare alle eventuali problematiche realizzando postazioni condivise per diverse categorie. La sfida è allestire degli uffici di prossimità in appositi spazi, non solo nel centro città. I Comuni dovrebbero favorire questi interventi, ad esempio nelle biblioteche, per accogliere soluzioni innovative e modelli di vita alternativi».

Ma come si può verificare la produttività di chi pratica lo smart working?

«Le aziende devono mettere in piedi un sistema di monitoraggio degli obiettivi. In genere, c’è il rischio che chi lavora da casa non stacchi e finisca per adoperarsi di più nelle attività individuali, anche se l’aumento di videochiamate tra i team può, talvolta, generare inefficienza. D’altro canto, stare insieme con altri colleghi sotto lo stesso tetto crea una socialità e un’interazione che porta a svolgere il lavoro in modo più veloce ed efficace. Il lavoro intellettuale ad alto valore aggiunto deriva spesso da un’intelligenza collettiva».

Lo smart working rischia di penalizzare, in qualche modo, le “quote rosa”?

«Una maggiore flessibilità aiuta anche le donne, se il sistema generale non fa pesare obbligatoriamente sul femminile tutti gli oneri della cura, magari consentendo all’uomo di dare una mano nella gestione della casa. Inoltre, può contribuire a non rinunciare alla carriera in maternità».

Quali sono i vantaggi principali dello smart working?

«Più autonomia, flessibilità e risparmio economico. Quest’ultimo vantaggio riguarda sia il singolo, per la minore mobilità con conseguente riduzione dell’impatto ambientale, sia l’azienda in termini di costi, ad esempio per la realizzazione di uffici più piccoli ma funzionali. Al centro c’è l’essere umano, più autonomo nell’organizzazione della propria vita e del proprio tempo, perché meno vincolato a un orario predefinito».

Categorie
Scarica le nostre guide gratuite
Desk Sharing
Desk sharing significa letteralmente condivisione
della scrivania
.
Si tratta di un’organizzazione delle postazioni dell’ufficio non più basata sull’assegnazione delle singole scrivanie, bensì sulla loro condivisione.
Clean Desk Policy
Si tratta di una direttiva promossa dall’azienda che regola il modo in cui le persone devono lasciare la postazione di lavoro una volta concluse le attività e come devono gestire i documenti, i file e, in generale, i dati sensibili.
Donna stressata dal lavoro
Mercoledì 8 maggio, ore 12:00

Lavorare stanca: come gestire lo stress in azienda

Il caso FINDUS

Quali soluzioni sono più efficaci per promuovere un clima lavorativo sano e stimolante? Ne parleremo con Findus.
Webinar gratuito, posti limitati