A Euro 2020 vince la Nazionale di calcio, non l’Azienda Italia

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Domenica sera l’Italia di Roberto Mancini ha vinto la XVI edizione dei Campionati Europei di Calcio della UEFA. Bella soddisfazione battere gli inglesi nel loro “tempio” – il mitico Wembley – e vedere tanti ragazzi festeggiare da piazza Duomo a Milano e all’Altare della Patria a Roma. Tutto bello, ma fermiamoci qui. Eccetto il giusto tributo concesso dal Presidente della Repubblica Mattarella alla squadra e a Matteo Berrettini – che il solito giorno è stato il primo tennista italiano a giocarsi una finale nel prestigioso torneo di Wimbledon – il resto del coro è stato stonato.

Davvero ho trovato stucchevole che da Mario Draghi alla classe politica, dalla TV ai giornali, un successo calcistico sia stato di spunto per invocare la rinascita del paese e inspirare ben altri successi, quelli dell’”Azienda Italia”. Qui non si tratta di salire sul carro dei vincitori, cosa peraltro diffusa nel mondo del pallone, ma l’idea di attribuire a un risultato sportivo lo stimolo per fare meglio in campi che nulla hanno a che vedere con il calcio. Lo dico da amante di questo sport, tengo a precisarlo. Ovviamente sono ben cosciente che il calcio è servito per il riscatto di alcuni popoli. Anche l’Italia che vinse i Mondiali nel 1982 – e gli italiani per la prima volta scesi tutti in strada a festeggiare – rappresentò l’uscita dagli Anni di Piombo dei tragici Settanta. Ma quello era un paese dove effettivamente ci si era rimboccati le maniche.

Non capisco come oggi Roberto Mancini – che in tre anni ha fatto un grande lavoro con un gruppo di calciatori – possa essere la molla ad un Paese che da anni è senza politica industriale. Magari di buon auspicio, ma per favore non tiriamo fuori paragoni con il Recovery Plan. La viceministra allo Sviluppo Economico Alessandra Todde ci informa che i tavoli di crisi industriale aperti attualmente al Ministero sono ben 85. Uno studio della Bocconi ha spiegato che ancora oggi l’80% delle procedure commissariali sfociano nel fallimento. Il tasso di disoccupazione, ovviamente anche a causa del SarsCov2, è salito al 10,7% e gli italiani finiti in povertà assoluta sono 5 milioni. Potrei continuare con altri risultati che hanno ben poco di onorevole, ma mi limito a bacchettare imprenditori che mancano di coraggio – l’attuale crisi di managerialità in questo Paese non la scopro io – sindacati conservatori che hanno difeso posti di lavoro ma non il lavoro – con il risultato che quando il secondo veniva delocalizzato all’estero sparivano anche i primi, dimostrando incapacità di indirizzo – e politici che non hanno messo in campo legislazione adeguata contro fondi d’investimento predatori che comprano, spolpano e chiudono imprese.

Io davvero non vedo come la coppa alzata da Giorgio Chiellini possa essere di stimolo per risolvere situazioni che si sono incancrenite perché da anni l’unico strumento messo in campo dalla politica per l’Azienda Italia è stato Industria 4.0, che però è un intervento di semplice finanziamento. 

Certo che è stato bello vincere Euro 2020 perché il calcio è lo sport nazionale e La Nazionale è al centro del movimento calcistico italiano. Così come il risultato di Matteo Berrettini – sconfitto solo dall’immenso Novak Djoković – è di buon auspicio per il movimento tennistico che finalmente torna a produrre un singolare di alto livello. Certo che è stato bello passare una serata ad abbracciarci dopo un anno disastroso per l’emergenza sanitaria e 130.000 morti, ma quell’anno è stato disastroso anche a causa di 37 miliardi di Euro di tagli alla Sanità.  

Quello che è successo domenica a Londra sono due esempi positivi, ma non sono risultati gratuiti. Dietro c’è stato un lavoro vero, spirito, sudore e sacrificio. C’è stata voglia di faticare, cosa che da troppi anni manca alla classe dirigente italiana.

È inutile che si chieda all’Azienda Italia di prendere ad esempio il successo dell’Italia del Calcio senza ricordare che i successi costano fatica, dedizione e anche una base ossessiva per migliorarsi davvero. 

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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