Chi ha paura dell’intelligenza artificiale?

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Lo scorso 5 novembre – per la prima volta dopo oltre 50 anni – i Beatles hanno raggiunto la vetta delle classifiche musicali del Regno Unito con la canzone Now and then, un brano che tramite l’intelligenza artificiale ha riunito la leggendaria band di Liverpool.

Cosa ha fatto l’AI in questo caso?

Now and then è nata da una demo registrata alla fine degli anni Settanta da John Lennon a New York. Dopo il suo assassinio, l’8 dicembre del 1980, Yoko Ono consegnò il nastro contenente solo voce e pianoforte agli altri membri degli ex-Beatles. Ma la tecnologia dell’epoca non permetteva di fare il mixaggio della traccia. Oggi, invece, un software che usa l’intelligenza artificiale ha consentito di risolvere “il nodo”: isolare la voce di Lennon dal suono del pianoforte. Così la canzone è stata completata e pubblicata adesso dai due musicisti superstiti, Paul McCartney e Ringo Starr. Nella canzone si sente anche un coro di George Harrison, anche lui scomparso, nel 2001.

Intelligenza artificiale: opportunità o minaccia?

Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli articoli sui lavori che sparirebbero a causa dell’AI, a partire dal mio, quello di giornalista. Sicuramente necessitiamo di una cornice di regolamentazione a livello internazionale, perché l’AI può essere utilizzata per creare fake news e false immagini (ad aprile la fotografa Barbara Zanon ha denunciato come fosse possibile realizzare un finto reportage sull’Ucraina in guerra senza muoversi da casa). Allo stesso modo, quando si creano immagini artistiche, l’AI opera aggregando foto già presenti in rete per generarne un’altra: è una forma di violazione del copyright?

L’intelligenza artificiale necessita di una riflessione molto complessa, che va aldilà dello storico timore sulle evoluzioni tecnologiche e sulla loro influenza sui comportamenti umani. Mi riferisco, ad esempio, a un noto fatto di cronaca: nel 1999, dopo la tragica sparatoria alla Columbine High School di Denver – dove due alunni compirono uno dei più gravi mass shooting degli Stati Uniti -, anziché incolpare il sistema americano della libera circolazione delle armi e del disinvolto uso degli psicofarmaci, il dito fu puntato sul film Matrix e sui videogiochi (oltre, immancabilmente, alla musica metal!). 

Questo per dire che effettivamente ogni tecnologia digitale può essere tacciata di “condizionamento”, ma forse nel caso dell’AI il rischio è diverso, perché qui abbiamo l’uomo in interazione con la macchina. L’intelligenza artificiale sta offrendo risposte insperate in certe situazioni, ultimamente anche in campo medico: ad esempio la sua incredibile capacità di elaborare dati viene usata in ambito scientifico per trovare cure a malattie dove ancora la medicina non ha offerto una speranza. Oppure, come abbiamo visto in un precedente articolo, sviluppare mappe interattive di città e restituire uno scenario sul possibile impatto futuro delle politiche urbane, dopo aver analizzato dati su dati per verificare i quartieri carenti di servizi. E ancora, la pandemia ha determinato un balzo in avanti nell’uso di software di monitoraggio con algoritmi che aggregano dati per analizzare la produttività delle persone. Altro che lo smart working: le nuove “tecnologie della sorveglianza” in questo caso sfruttano l’AI per ridurre l’autonomia dei lavoratori e aumentano il loro stress!

Gli esempi di segno opposto potrebbero continuare a lungo… Evidentemente, per la prima volta nella storia dell’umanità, siamo alle prese con un’invenzione con la quale non sappiamo ancora bene cosa fare.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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