COP26 di Glasgow ultima chiamata per un pianeta ancora abitabile

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Gli attuali piani climatici si basano su una convinzione errata: poter impedire il crollo di un sistema complesso attraverso una crescita “verde”. Ma i sistemi complessi non funzionano così. Assorbono costantemente stress per poi collassare improvvisamente.

George Monbiot, The Guardian

Nel secolo scorso la grande minaccia per l’umanità era la guerra nucleare. Il Novecento è stato segnato dalla bomba atomica e solo la fine della “guerra fredda” tra gli USA e l’Unione Sovietica ha dissipato questa minaccia negli anni ‘80. 

Il nostro secolo è iniziato segnato dalla minaccia di un’altra bomba, quella climatica. Ecco, la Conferenza ONU sul Clima di Glasgow – conosciuta come COP26 – è un appuntamento così atteso che la Gran Bretagna come paese ospitante ha alzato i toni: <<se fallisce, fallisce tutto>> ha detto il premier Boris Johnson, <<questa è l’ultima speranza>> gli ha fatto eco il presidente del vertice Alok Sharma, ex ministro e membro anch’esso del Partito Conservatore. Ma perché l’appuntamento è così importante? Intanto spieghiamo il nome: COP26 significa che è la 26° Conferenza delle Parti, la prima fu nel 1995 a Berlino, preceduta dall’Earth Summit di Rio de Janeiro del 1992, dove per la prima volta si iniziò a ragionare sulla salvaguardia della Terra. 

Il surriscaldamento climatico

Così, a partire da Glasgow saranno vincolanti per i Paesi gli Accordi di Parigi sul clima del 2015, conclusione dei lavori della COP21. In quella sede si trovò l’accordo sul contenere l’aumento medio della temperatura terrestre entro i 2° – possibilmente 1,5° – rispetto all’era preindustriale, riducendo i gas serra. Da Rio de Janeiro, quindi in trent’anni, si è calcolato la temperatura sia aumentata globalmente di 1,1° e già questo ha prodotto eventi estremi in numero esponenziale anno dopo anno. Da choc termici a bombe d’acqua, in Italia ne sono stati già registrati 1.400 nel 2021 secondo la World Meteorological Organization.

Erano stati 363 nel 2010! Perché in realtà in Italia la temperatura media è aumentata più di quella globale, da noi siamo a 1,34° negli ultimi 50 anni, la tropicalizzazione del nostro clima è ormai un fatto. Il bacino del Mediterraneo in generale è una di quelle aree più afflitte dal cambiamento climatico e Roma una delle città più colpite dal meteo impazzito.

Effetto serra

Le emissioni di Co2 sono responsabili di questa alterazione del clima. La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata del 44% rispetto all’era preindustriale e del 26% rispetto al summit di Rio del 1992. I calcoli degli scienziati stimano che negli ultimi 150 anni siano state emesse 2.080 giga-tonnellate di Co2. I gas serra lasciano filtrare parte delle radiazioni emesse dal Sole e trattengono parte delle radiazioni infrarosse emesse dalla Terra, producendo il cosiddetto “effetto serra”. Questo fenomeno influenza la temperatura del pianeta e le condizioni di vita per l’uomo, le piante, gli animali e i microorganismi. Inoltre, aumenta l’acidificazione degli oceani, riduce la produzione agricola, aumenta la desertificazione (con la conseguente migrazione di milioni di popolazioni dall’Africa Subsahariana), altera le precipitazioni e favorisce gli incendi in tutti i continenti. Tutte queste conseguenze riducono anche la capacità di cattura della Co2 stessa degli eco-sistemi, innescando un circolo vizioso che fa affermare agli scienziati che il cambiamento climatico stia correndo così velocemente da considerarsi inevitabile e inarrestabile. Quindi cosa ci resta da fare dato che non abbiamo più tempo? Due azioni: mitigazione e adattamento

Gli attori in gioco

Ritornando così agli Accordi di Parigi da rendere vincolanti oggi con la COP26, gli impegni dell’Unione Europea, USA e Regno Unito sono per obiettivo zero emissioni di gas serra al 2050. La Cina l’ha promesso al 2060. Parlando degli altri grandi inquinatori ci sono l’India e l’Indonesia a chiedere più tempo per ridurre la loro dipendenza dal carbone e c’è la Russia che sta “dormendo” senza dire cosa vuole fare. E ancora i governi negazionisti sul clima di Australia e Brasile. Anche con quest’ultimi bisognerà trattare, proprio loro sono stati decisivi nel fallimento della COP25 di Madrid nel 2019. Poi c’è la questione del fondo da 100 miliardi di dollari per i Paesi più poveri, per aiutarli a fare investimenti in infrastrutture che li proteggano dalle alterazioni climatiche (c’è anche una questione di disuguaglianza sul tavolo: i ricchi inquinano e i poveri subiscono di più la crisi climatica).

Stavolta non si può fallire, a Glasgow il compito della COP26 è quello di mediare fra le parti per arrivare a impegni precisi e concreti, dando alla Terra la speranza di essere in futuro un pianeta ancora abitabile.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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