Employee experience digitale: come offrire un’esperienza lavorativa di qualità nell’era dello smart working

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Dalla pubblicazione del dicembre 2022 sul sito web di Mc Kynsey & Company (a firma di Sandra Durth, Neel Gandhi, Asmus Komm, and Florian Pollner) del risultato di interviste a diversi Responsabili HR e People Leader sui modelli operativi del futuro in ambito HR, emerge chiaramente come, seppur declinati in 5 opzioni, tutti i futuri modelli siano fondati su 2 elementi: una base dati solida e coerente (con capacità di elaborarla) e sistemi user-friendly altamente affidabili.

Per sostenere un’esperienza lavorativa di valore in un mercato e in un contesto di business sempre più volatili e digitali nonché incerti e veloci, non serve però esclusivamente un cambio di approccio da parte dei gestori di risorse umane, ma è importante trasferire questi elementi fondanti all’intera architettura aziendale.

I nativi digitali sono abituati a soluzioni veloci e ad identificare facilmente opzioni e risposte, sono svincolati dal concetto di luogo e di presenza, vogliono dare un contributo di valore delegando attività transazionali e routinarie ai supporti digitali o di intelligenza artificiale.

Come offrire quindi un’esperienza lavorativa di qualità?

Sembra banale, ma è indispensabile innanzitutto partire dal reskilling e dalla continua formazione ed aggiornamento sui nuovi strumenti digitali e di Artificial Intelligence sia per gli HR che per la linea manageriale. Molti di noi hanno sperimentato l’arrivo di Office 365 (che in molti casi ha garantito la continuità del business durante l’emergenza Covid) permettendo di trasferire i molteplici momenti di incontro e confronto sulla piattaforma Teams, ma quante aziende hanno dedicato tempo alla formazione e al monitoraggio dell’apprendimento delle potenzialità di questi strumenti? Sono state sufficienti webinar e general delivery? Probabilmente no contando il numero di – “Si vede? Ah non ho condiviso lo schermo..” – “Mi sentite?”- “Sei in muto!” – “Come faccio ad allargare la visualizzazione?”, per non parlare di chat erroneamente condivise o di cartelle non adeguatamente protette e quindi accessibili a tutti…

Con il senno di poi, si poteva di fare di più: non è possibile non guidare l’apprendimento di tutta la struttura aziendale e delegare ai soli curiosi la sperimentazione dei nuovi strumenti rischiando un utilizzo non corretto se non, in alcuni casi, addirittura improprio e rischioso.

La formazione e l’apprendimento non risultano sufficienti se non supportati da un concreto processo di “digestione” del cambiamento da parte dell’organizzazione intera. Molte volte infatti questi  nuovi strumenti introdotti vanno a sommarsi a modi di lavorare ormai consolidati: quanti file Excel rimangono ancora salvati in cartelle sul desktop o quanti duplicati di file esistono sia su cartelle locali che su sharepoint per paura di essere persi.

E non si tratta solo di strumenti, ma di nuove modalità di lavoro. Su questo tema ad oggi l’HR ha fatto grandi promesse ma si è limitato a qualche call informativa, corsi generici e webinar con suggerimenti sulla gestione del tempo in Smart working e con richiami all’ attenzione agli aspetti di salute e sicurezza. Parallelamente alla formazione obbligatoria è necessario che HR si concentri sulla trasformazione della mentalità manageriale e sulla costruzione di una sponsorship non solo dichiarata, ma reale e operativa.

L’organizzazione deve essere “forzata” nell’utilizzo dei nuovi strumenti guidando la transizione da modalità lavorative precedenti a quelle nuove, creando anche consapevolezza dei rischi, ma anche rassicurando rispetto alle novità e alle innumerevoli opportunità ad esse connesse, costruendo modalità partecipative di introduzione e divulgazione dei cambiamenti.

La scelta degli strumenti e delle piattaforme deve rispondere al bisogno di semplicità, efficienza e velocità: una transizione digitale senza la garanzia di una linea internet robusta, per esempio, porta disaffezione alle novità ed è indice di poca linearità con i messaggi divulgati. Un cambiamento di provider, una modifica nei sistemi IT, non sempre si traduce con la risposta ai bisogni del cliente interno, a volte il cambiamento è puramente di forma, più che di sostanza e la scelta della soluzione non vede, quasi mai, il coinvolgimento dei diretti interessati e futuri utilizzatori.

Il cambiamento verso gli strumenti digitali supporta certamente il percorso verso una employee experience positiva non solo per le nuove generazioni digitali che la richiedono per incontrare, anche sul lavoro, un ambiente più familiare nel quale muoversi con facilità, ma anche per le generazioni precedenti che possono sperimentare l’ottimizzazione delle proprie attività e dei tempi di lavoro a favore di attività a valore aggiunto e del riposo. A volte però la transizione obbliga una rieducazione su entrambi i fronti. I nativi digital conoscono la tecnologia – anche se in ambiti più legati al leisure, all’ e-commerce e ai social network – ma raramente applicata al contesto lavorativo: quanti neolaureati infatti conoscono a livello professionale Excel o utilizzano in modo efficiente strumenti di analisi o di presentazione dei dati?

Dall’altro lato i manager riscontrano nel successo o meno dello smart working la cartina tornasole della loro capacità di superare pregiudizi e regole consolidate nella gestione delle performance e nella valorizzazione dei loro collaboratori in un’ottica di obiettivi e non più di disponibilità oraria. D’altra parte la gestione del team in smart working nasconde effettivamente alcuni rischi identificati dai manager legati al coinvolgimento, il supporto e la responsabilizzazione dei collaboratori; risultano più difficoltosi l’allineamento e la comunicazione efficace e viene spesa grande energia da parte dei manager nell’organizzazione dei momenti di incontro e condivisione che prima invece potevano beneficiare della disponibilità dei collaboratori in presenza in orari comuni a tutti. Sfortunatamente le soluzioni standard proposte per mantenere l’engagement delle risorse e la gestione del lavoro come caffè mattutini o aperitivi on-line, file di update condivisi o riunioni giornaliere non sono applicabili o valide per tutti i team e per le diverse tipologie di lavoro.

Il miglioramento della work experience nell’era dello smart working, in conclusione, passa attraverso una profonda conoscenza degli strumenti a disposizione, guidata da piani di formazione e comunicazione volti a guidare un cambiamento culturale profondo e condiviso con tutti gli stakeholder. Questo si traduce nella continua sperimentazione di soluzioni dedicate e consapevoli elaborate da HR e da manager che credono nell’inevitabilità del cambiamento e conoscono le peculiarità del business e del proprio team.

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Stefania Turra
Stefania Turra è una professionista in ambito HR che ha contributo nel ruolo di Business Partner e Project Leader in contesti produttivi e R&D. Il suo è uno pseudonimo nato per poter raccontare senza filtri e con un pizzico di (auto)ironia la funzione "People" aprendo una riflessione su come essa possa contribuire effettivamente a migliorare l'esperienza di vita in azienda.
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Stefania Turra
Stefania Turra è una professionista in ambito HR che ha contributo nel ruolo di Business Partner e Project Leader in contesti produttivi e R&D. Il suo è uno pseudonimo nato per poter raccontare senza filtri e con un pizzico di (auto)ironia la funzione "People" aprendo una riflessione su come essa possa contribuire effettivamente a migliorare l'esperienza di vita in azienda.
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