Lo smart working comincia dall’ufficio: da Fantozzi al desk sharing, così cambiano gli spazi

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Articolo di Luca Brusamolino per Il Fatto Quotidiano

Non è la prima volta che scrivo su questa pagina e credo ormai di avere tediato tutti ripetendo come un mantra che: “Smart Working non è lavorare da casa” ma, anzi, che comincia dall’ufficio. Ho provato anche a scriverlo in un libro, per fare cultura sul tema e raccontare come si sono evoluti i luoghi del lavoro negli ultimi due, dieci e cento anni.

Dall’ufficio di Fantozzi al desk sharing

Ricordate il ragionier Fantozzi quando andava in udienza dal megadirettoregalattico? “Cento piante di ficus, una poltrona in pelle umana ricavata dagli impiegati che non si comportano bene ed un grande acquario dove nuotano i dipendenti sorteggiati tra i più meritevoli”.

Un’iperbole di una realtà che è ancora presente e viva nel tessuto produttivo del nostro paese e che è la perfetta metafora di status e gerarchia, due dei paradigmi con cui ancora oggi vengono progettati molti uffici.

Il modello di ufficio classico si basa infatti su tre tipologie di spazio principali: uffici chiusi per i manager, postazioni in open space per lo staff e sale riunioni per fare incontri pianificati. Questo modello basato su una postazione assegnata in cui si svolgono tutte le attività (Desk based working) è ancora predominante nelle aziende italiane ma crea delle inefficienze nell’utilizzo dello spazio ed effetti che influiscono sulla produttività.

Le persone sono sempre più mobili quindi gli uffici e le scrivanie rimangono spesso vuote (40% occupancy media); inoltre, la contemporaneità di attività differenti nello stesso ambiente può generare degli effetti quali rumore, mancanza di privacy e impossibilità di concentrarsi.

Fortunatamente la tecnologia ci permette di lavorare ovunque e di rompere la catena virtuale che ci lega alla scrivania. Cambia il paradigma e si passa quindi da un modello basato sulla postazione assegnata a un workplace progettato in base alle attività da svolgere.

Questo cambiamento ha diversi vantaggi, tra cui quello di risolvere in parte il problema del rumore o della privacy degli open space. La possibilità di muoversi permette ai dipendenti di avere controllo sul rumore semplicemente spostandosi in un’area più silenziosa e ne mitiga gli effetti negativi.

Stesso discorso per la privacy: fare una video call in un’area attrezzata migliora la comunicazione e permette il giusto grado di riservatezza con il grande vantaggio di non disturbare gli altri. Ci sono poi luoghi come l’area break, che diventano il cuore pulsante dell’ufficio, e zone in cui fare meeting informali. Attività e luoghi pensati per incoraggiare la collaborazione e lo scambio, che sono alla base del processo di innovazione di un’azienda.

Serve ancora l’ufficio?

Domanda retorica che in questo momento si pongono tante aziende e che, a vedere alcuni studi e dati dal mondo real estate, qualche dubbio può sorgere.

Dalla ricerca degli economisti Nicholas Bloom e Arjun Ramani, si analizza quanto i cambiamenti nei modi di lavorare abbiano influenzato il mercato immobiliare statunitense, portando ad un crollo dei prezzi degli immobili nei principali centri urbani e ad un conseguente aumento di quelli delle periferie.

Gli autori parlano del cosiddetto “effetto ciambella”: la domanda immobiliare si sposta da quartieri popolosi dei centri città ai sobborghi a bassa densità con progressivo svuotamento delle metropoli. Da qui l’idea della ciambella in cui i grossi centri urbani rappresentano il buco.

Questo fatto, che pone sicuramente un problema finanziario, può però trasformarsi in una grande occasione di rigenerazione urbana delle nostre città. Un’inversione di tendenza rispetto al modello di urbanizzazione che per decenni ha visto i centri città esplodere e le periferie diventare quartieri dormitorio, un modello di città policentrica in cui il coworking può diventare la terza via tra il lavoro da casa e quello in ufficio.

Lo sa bene il comune di Milano, che sta portando avanti il progetto “Città dei 15 minuti”, con l’obiettivo che il cittadino, residente in una delle città che aderiscano al progetto, possa raggiungere in soli 15 minuti a piedi tutto ciò che gli occorre per vivere. Gli uffici saranno dei poli magnetici diffusi sul territorio, in cui le persone verranno per incontrarsi, collaborare, creare, socializzare e risolvere questioni importanti con i propri colleghi.

Inoltre, mantenendo salva la possibilità di scelta da parte dei dipendenti, sarà determinante fare in modo che la qualità e la funzionalità degli spazi rendano l’ufficio attrattivo e migliorino l’esperienza dell’utente.

Le organizzazioni sono sistemi sempre più aperti e cercano quindi di diventare dei poli attrattivi di professionalità e di talenti. Per questo motivo sempre più aziende creano delle zone coworking all’interno dei propri uffici con lo scopo di contaminarsi con freelance, startup, fornitori, clienti, studenti.

Il futuro è oggi

Questo è il momento per innovare, per scardinare gli schemi, per essere disruptive. Questo è il momento in cui nemmeno gli esperti sanno cosa succederà domani. È il momento di sperimentare senza preconcetti per disegnare il futuro del lavoro, dei luoghi e delle organizzazioni. Sintetizzando, per disegnare le città del futuro.

Non possiamo più aspettare, sta già succedendo: il futuro è oggi.

In foto uno degli spazi progettati da Workitect per UCB Pharma.

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Luca Brusamolino
Co-founder di Workitect e smart working expert. Dal 2016 si occupa di consulenza alle aziende nei processi di workplace change e nell’introduzione dello smart working. Docente di Master di Secondo Livello in HR c/o LUM, tiene seminari presso diverse Università italiane.
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Luca Brusamolino
Co-founder di Workitect e smart working expert. Dal 2016 si occupa di consulenza alle aziende nei processi di workplace change e nell’introduzione dello smart working. Docente di Master di Secondo Livello in HR c/o LUM, tiene seminari presso diverse Università italiane.
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Desk sharing significa letteralmente condivisione
della scrivania
.
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