In una tiepida mattina primaverile attraverso i viali di Valle Giulia per andare in studio in sella a “Ronzinante”, ovvero il mio vecchio scooter, emulo di Don Chisciotte che si aggirava per il mondo volendo fare piazza pulita di tutte le ingiustizie.
Cercando di non pensare a una recente sconfitta in Tribunale, che brucia forse più di una scottatura solare su una pelle ancora poco protetta dalle “ingiustizie”, mi viene in mente un testo di Pasolini, altrettanto donchisciottesco, ambientato proprio in queste strade e riferito agli scontri avvenuti nel marzo del ’68 tra la polizia e gli studenti: “A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici”.
Queste parole sono state criticate e interpretate in mille modi diversi: io le ho sempre immaginate come una propensione a schierarsi dalla parte delle “minoranze” e a prediligere punti di vista in controtendenza. Pasolini, con tutto quello che rappresenta(va) si è messo dalla parte degli antipatici “poliziotti”, figli del popolo e vittime del sistema, che si trovavano lì più per necessità che per scelta. Eresia!
Gli eretici mi sono sempre stati simpatici, forse dal momento in cui, da bambino, mi hanno portato a vedere Rocky IV. In un cinema rumoroso come il Colosseo ai tempi dei giochi dei gladiatori, “tutti” tifavano per lo “stallone italiano” contro il freddo e crudele “Ivan Drago”.
Ecco, essendo mia nonna per metà russa e per metà ucraina (anche questo argomento più che mai attuale e contraddittorio) mi sono sentito, da ragazzino di 6 anni, intimidito da questo unanime schierarsi “contro”, vergognandomi quasi di stare (almeno un po’) dalla parte del “poliziotto” Ivan Drago che, forse, aveva avuto come me, una nonna che gli raccontava delle bellissime e dolcissime fiabe slave.
A partire dall’esperienza di quel film ho sempre aspirato (con qualche presunto successo) a essere una minoranza “non silente”, perché già in quella circostanza avrei voluto urlare che, probabilmente, Ivan Drago non era così orribile come sembrava; all’epoca però non ho avuto il coraggio di farlo e, in fondo, me ne sono pentito.
E allora con Ronzinante che arranca per le vie in fiore della capitale e con in mente l’eretico Pasolini e l’ipertrofico Ivan Drago, mi accorgo che è arrivato il momento di avere il coraggio di esprimersi anche su alcune questioni di diritto del lavoro che si tende a voler rimuovere perché al di fuori del politicamente corretto.
Troppo spesso normative nate dal sacrosanto e legittimo diritto di proteggere situazioni di fragilità sono fraudolentemente aggirate da dipendenti e da datori di lavoro “furbetti”.
Cosa penserebbe Ivan Drago di persone che, usufruendo dei permessi ex Legge 104/92 per assistere parenti disabili, sono in giro per centri commerciali?
Come si comporterebbe il sovietico Ivan di fronte a dibattiti sindacali incentrati ancora sul “premiare” semplicemente la presenza del lavoratore, piuttosto che definire nuove strategie che ragionino per obiettivi e sviluppo?
Ed ancora, che suono avrebbe il nitrito di Ronzinante innanzi a persone che percepiscono pensioni d’oro senza merito, a danno delle nuove generazioni, dichiarandosi però interessate al futuro del Paese nel silenzio delle parti sociali?
Cosa dire di persone che sfruttano lievi stati di malattia per non presentarsi al lavoro per mesi e mesi e poi pretendere di “scegliere” le attività da svolgere attraverso infiniti e stravaganti ricorsi?
Cosa risponderebbe la coscienza di ognuno di noi rispetto a scelte professionali improntate a usufruire di aiuti di Stato di vario genere invece che a rimboccarsi le maniche per cercare la propria strada?
Il rischio è di dimenticare che l’“abuso” del diritto del lavoro è quasi peggio della mancanza delle tutele, in quanto al legittimo e dialettico confronto per ottenere un miglioramento del proprio status (nel rispetto di quanto previsto dall’ordinamento costituzionale) dovrebbero seguire sempre comportamenti volti a tutelare il “diritto” ottenuto e non, come invece troppo spesso accade, a “sfruttarlo”.
Torno a sentirmi davvero “ribelle” quando incontro soggetti, oppure operatori del mondo del lavoro, che tendono ad esercitare un uso anormale del diritto che orienta il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso viene riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico positivo.
Purtroppo questa è una realtà ormai ricorrente e, anche su questo, mi ritrovo a sentirmi sempre più minoranza; non voglio però essere silenzioso, ma eticamente laico, sollecitando un salutare confronto tra posizioni e opinioni diverse, purché si rispettino le regole e nessuno cerchi di aggirarle.