Questione di genere, spazi di lavoro e patriarcato

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Nonostante sia passato qualche tempo dal 25 novembre, la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ritengo opportuno fare alcune considerazione sul tema delle differenze di genere. Non solo alla luce dei recenti fatti di cronaca nera, ma in quanto correlate all’organizzazione patriarcale della nostra società. 

Dai talk show ai giornali, ci imbattiamo nel perpetuarsi, a tratti in maniera grottesca, di un sistema che mette in campo strategie collaudate per negare l’evidenza. La strategia che va per la maggiore adesso è bollare il politically correct come causa di repressione del pensiero – “e che sarà mai una battuta sessista!” – come ha evidenziato ironicamente Micaela Bongi con un editoriale su Il Manifesto: <<Il patriarcato? Roba finita in soffitta da decenni, macché, secoli fa. Ora finalmente c’è una presidente del consiglio donna, la dimostrazione più lampante che quel sistema di potere è stato abbattuto>>.

Purtroppo, appunto, non è proprio così.

L’annosa questione di genere in Italia

Già gli uffici “moderni” non sono tanto moderni, come raccontato in un precedente articolo. Sono nati negli USA alla fine degli anni Trenta, allora le donne erano solo un terzo della forza lavoro e l’organizzazione degli spazi rispondeva a una logica prettamente White Male American. E come se non bastasse erano caratterizzati da assenza di privacy e maschilismo. Pure il benessere termo-igrometrico dei locali era regolato sulla base della corporatura maschile!

Ora, gli spazi di lavoro in sé potrebbero sembrare un focus di secondo piano, ma anch’essi sono espressione di una cultura patriarcale quale modello sociale che impregna ogni ambito, privato e pubblico. Un modello così totalizzante che poi il tessuto sociale è disposto a ingoiare ogni nefandezza: tante donne in Italia, di varie professioni, affermano che le molestie sul lavoro sono state la norma durante la carriera

Non solo, in Italia il tasso di occupazione femminile, intorno al 50%, è tra i più bassi dell’Unione Europea e il più basso tra le maggiori economie mondiali. Questo ha una diretta conseguenza sulla produttività e sul crollo della natalità. Secondo l’ISTAT la natalità è infatti correlata alla bassa occupazione femminile e alle scarse politiche sociali. Quando parliamo di politiche sociali intendiamo quegli strumenti che permettono di rimanere al lavoro, ovvero i servizi all’infanzia e la maternità. Ecco la grande differenza tra i Paesi Scandinavi, l’Olanda, la Francia, rispetto all’Italia dove il mercato di lavoro per le donne è a “porte girevoli”. 

Le difficoltà delle donne nell’organizzazione economica vanno dunque a braccetto con il patriarcato. Ed è un peccato perché le eccellenze in questo Paese avrebbero bisogno di maggior occasione per rivelare il loro talento. Anche questa nel sistema attuale è violenza. Uno spirito del tempo violento che prova a trovare un alibi nel femminismo.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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