Riposi, vacanze e produttività: miti da sfatare e scoperte da interpretare nella società della stanchezza

Indice dei contenuti

Una recente ricerca del Wall Street Journal, che ha ritrovato eco su diversi media, riporta che i dipendenti che fanno più ferie sono più sani e lavorano meglio, con conseguenti promozioni più veloci. Per questo motivo le politiche HR più innovative mettono al centro dell’attenzione la salute dei collaboratori, certi che il ritorno vedrà colleghi felici, produttivi e legati all’azienda. L’obiettivo è migliorare la qualità della vita lavorativa e ridurre lo stress incentivando attività di meditazione e di rilassamento oppure aumentando l’ammontare di permessi, ferie o rendendo l’orario di lavoro flessibile. Sembrano tutte considerazioni ovvie, talmente ovvie da suscitare indifferenza se non ilarità, ma nella pratica è davvero così?

Forse la moda dell’esaurimento da lavoro è ormai passata; dire che devi lavorare fino a tardi, non avere uno slot libero in agenda o entrare per primo ed uscire per ultimo dall’ufficio non è più uno status symbol. Ma quanti talenti sulla rampa di lancio o manager con responsabilità hanno realmente un buon bilanciamento vita-lavoro? È possibile notare che le persone che coprono ruoli rilevanti o dipendenti di aziende che adottano ancora la pratica delle chiusure aziendali, spariscano mesi interi nel periodo estivo per comparire su qualche barca o su spiagge lontane nelle foto sui social, ma sono queste le “vacanze produttive” di cui si parla?

Pare ci sia un elemento chiave che renda le vacanze realmente rigeneranti: al fine di migliorare la produttività del collaboratore e salvaguardarlo da problemi cardiaci e di stress, la durata minima sarebbe di 15 giorni. Detto che, in Italia almeno, concedere questo periodo – solitamente nel periodo estivo – è un obbligo contrattuale, quanto diffuso dallo studio in questione sembra dire che il lavoro, anche se ininterrotto e sregolato durante l’anno possa essere tollerato se poi interrotto da periodi di ferie prolungate. Pochi cenni al fatto che i mesi in ferie siano spesi tra eccessi alcolici o viaggi frenetici alla ricerca del posto più instagrammabile o di mete inesplorate. La vacanza si fa, ma diventa un nuovo obiettivo da raggiungere, un ulteriore lavoro per spuntare un target d’immagine, un’esperienza da raccontare, uno standard da rispettare.

Byung-Chul Han nel suo libro “La società della stanchezza” parla, cito l’introduzione, “del disagio dell’individuo tardo-moderno nella società odierna, caratterizzata dalla prestazione e dall’ossessione dell’iperattività e la tendenza sempre più forte al multitasking, tutti elementi che portano a produrre disturbi di natura depressiva e nevrotica. Tali espressioni di malessere e di “stanchezza” vengono interpretate come ovvia conseguenza dell’incapacità del soggetto di sostenere i ritmi dell’iperproduzione postcapitalistica in un contesto in cui non esiste più un modello sociale imposto dall’Esterno, dall’Altro, ma è anzi il soggetto stesso ad averlo introiettato”. 

Insomma, siamo noi stessi a volerci sempre sul pezzo, sorridenti, allineati, perfetti, attivi, produttivi che sia nel contesto lavorativo o in quello sociale, poco importa.

Forse bisogna fermarsi a riflettere sul messaggio corretto da divulgare e da mettere in pratica, senza cadere in contraddizioni nella gestione del nostro e dell’altrui tempo.

  1. Il tempo del lavoro e del riposo si alternano in ogni nostra giornata.
    Notte e giorno, luce ed oscurità, veglia e sonno devono essere equamente bilanciati in un arco temporale se non giornaliero, almeno di tre/quattro giorni, nel rispetto del nostro bioritmo. Se l’orario di lavoro è finito non chiamate quindi il collaboratore scusandovi, o non entrate nel suo ufficio commentando il fatto che sia ancora lì, ma chiedendogli contemporaneamente informazioni sul progetto. Rispettiamo il concetto di urgenza, di straordinarietà della prestazione, di temporaneità di una situazione particolare. 
  2. Impariamo a pianificare.
    Il project management è una competenza che deve essere trasversale ad ogni ruolo ed intrinseca al manager di risorse umane. Sapere dove si deve andare, cosa serve e quanto ci metteremo ad ottenerlo (contando qualche imprevisto), suddividere i compiti, rispettare tempi e attività altrui coordinando il contributo di tutti, non è semplice, ma essenziale. Le aziende non dedicano tempo a pianificare correttamente, non calcolano il workload delle loro persone, non lavorano sui tempi di riposo o sugli imprevisti, non rispettano il lavoro degli altri. Se pratichiamo lo stile della “chiamata su teams senza preavviso perché ti vedo verde” nel gestire l’attività lavorativa, questa risulterà schizzofrenica, snervante e porterà l’interlocutore a darsi non disponibile invece che a collaborare per trovare una soluzione a un problema comune.
  3. Riscopriamo l’importanza dell’ozio.
    Mi riferisco all’ozio di Seneca, quel momento necessario per discostarsi dalle attività per dedicarsi all’esercizio creativo, esplorativo, di arricchimento personale. Questo concetto di ozio poco si discosta nella sostanza da quei momenti sdraiati su un prato a sonnecchiare in cui capisci che quella presentazione potresti strutturarla diversamente per renderla più efficace, o quando leggi un libro che ti fornisce l’illuminazione per risolvere quella situazione. Questi sono momenti che dovrebbero essere preservati e praticati nel quotidiano. La pausa caffè, la pausa pranzo, la camminata verso il mezzo pubblico, la chiacchierata leggera sono tutti momenti sacri anche secondo l’ottica del Mindfullness per staccarsi, ossigenare, vedere le cose da un punto di vista diverso, esplorare ed tornare ad essere nel “qui ed ora”. 
  4. Il riposo non è solo staccare dal lavoro, ma anche lavorare in modo diverso.
    Non è necessario uscire dal contesto lavorativo per respirare: un workshop, la formazione, un team building, una riunione informale o una festa aziendale, se ben strutturati, traslano il concetto da produttività a un concetto di sperimentazione, di gioco e di festa. Un riposo attivo e costruttivo, altrettanto fondamentale per prendere decisioni rilevanti o gestire situazioni complesse. Seppure queste attività siano ben identificate nei corsi di gestione del tempo nel quadrante dell’importanza all’interno della Matrice di Eisenhower, purtroppo spesso quest’ultime sono sottovalutate dalle realtà aziendali che vedono queste attività come perdite di tempo o a volte come azioni prettamente cosmetiche.

Il segreto del successo e del benessere quindi non sembra quantificabile esclusivamente nel KPI di smaltimento delle ferie annuali a disposizione, ma nel ben noto mix tra capacità di bilanciare le proprie energie fisiche e mentali e la possibilità di definire il livello di priorità dei propri compiti e responsabilità. Rimanere focalizzati su un obiettivo, l’organizzazione personale e l’assertività nel non delegare il proprio benessere alle urgenze imposte da altri, il nutrire la propria autorealizzazione sono tutte competenze che dovrebbero caratterizzare i buoni collaboratori e ancor di più i buoni manager. Troppo spesso ancora oggi, invece, nell’epoca dello smart working e, quindi, della fiducia nei collaboratori e del lavoro su obiettivi, sugli annunci si ricercano caratteristiche come buona resistenza allo stress, disponibilità e dedizione.

E non saranno questi i collaboratori che andremo a promuovere?

Picture of Stefania Turra
Stefania Turra
Stefania Turra è una professionista in ambito HR che ha contributo nel ruolo di Business Partner e Project Leader in contesti produttivi e R&D. Il suo è uno pseudonimo nato per poter raccontare senza filtri e con un pizzico di (auto)ironia la funzione "People" aprendo una riflessione su come essa possa contribuire effettivamente a migliorare l'esperienza di vita in azienda.
Picture of Stefania Turra
Stefania Turra
Stefania Turra è una professionista in ambito HR che ha contributo nel ruolo di Business Partner e Project Leader in contesti produttivi e R&D. Il suo è uno pseudonimo nato per poter raccontare senza filtri e con un pizzico di (auto)ironia la funzione "People" aprendo una riflessione su come essa possa contribuire effettivamente a migliorare l'esperienza di vita in azienda.
Categorie
Scarica le nostre guide gratuite
Desk Sharing
Desk sharing significa letteralmente condivisione
della scrivania
.
Si tratta di un’organizzazione delle postazioni dell’ufficio non più basata sull’assegnazione delle singole scrivanie, bensì sulla loro condivisione.
Clean Desk Policy
Si tratta di una direttiva promossa dall’azienda che regola il modo in cui le persone devono lasciare la postazione di lavoro una volta concluse le attività e come devono gestire i documenti, i file e, in generale, i dati sensibili.
Donna stressata dal lavoro
Mercoledì 8 maggio, ore 12:00

Lavorare stanca: come gestire lo stress in azienda

Il caso FINDUS

Quali soluzioni sono più efficaci per promuovere un clima lavorativo sano e stimolante? Ne parleremo con Findus.
Webinar gratuito, posti limitati