Rumore in ufficio? La parola all’esperto di acustica

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Intervista di Luca Brusamolino a Ezio Rendina, Ingegnere Acustico

Secondo l’organizzazione mondiale della sanità un rumore eccessivo danneggia gravemente la salute umana e interferisce con le attività quotidiane delle persone a scuola, al lavoro, a casa e durante il tempo libero. Può disturbare il sonno, causare effetti cardiovascolari e psicofisiologici, ridurre le prestazioni e provocare risposte di disturbo e cambiamenti nel comportamento sociale.

Ho affrontato più volte il tema del benessere delle persone e quindi sulla produttività dell’azienda. 

Il modello activity based aiuta in questo senso: la possibilità di muoversi da un luogo all’altro a seconda dell’attività da svolgere permette di avere controllo sul rumore e ne riduce gli effetti negativi, infatti avere un grado di controllo su una situazione riduce lo stress connesso ad essa.

Naturalmente per fare in modo questo modello sia efficace serve una nuova cultura, nuovi comportamenti ma soprattutto servono degli spazi che siano pensati anche in funzione alle necessità acustiche. 

Per questo ho fatto qualche domanda all’Ing. Ezio Rendina, uno dei più grandi esperti di acustica in Italia.

Pensiamo ad esempio alle telefonate: ormai in tutti gli uffici vengono realizzati degli spazi dedicati, delle vere e proprie cabine telefoniche (phone booth). Sul mercato ne esistono diverse tipologie, i più comuni sono dei box acustici realizzati con pareti vetrate mentre molti progettisti li realizzano su misura utilizzando pareti in cartongesso rivestite di materiali fonoassorbenti e porte vetrate per far entrare la luce naturale. Spesso però i risultati non sono ottimali, in quanto si creano effetti di riverbero e rimbombo con il risultato che non vengono utilizzati e le persone continuano a fare le telefonate dalla postazione o in corridoio. 

Quali caratteristiche devono avere per essere davvero efficaci?

Esistono varie tipologie di phone-booth o di pod (sale meeeting) ma è raro che alle spalle di queste vi sia una vera progettazione acustica, conosco solo un’azienda che l’ha fatta realmente. Il fatto è che noi non sentiamo solo con le orecchie ma anche con gli occhi. Mi spiego meglio: il nostro cervello quando entra in un ambiente chiuso (dalla chiesa, alla camere, qualsiasi esso sia) tende and immaginarsi un certo tempo di riverbero (eco). Ad esempio se fossimo in un grosso ambiente, magari riverberante, come una chiesa con molto marmo a rivestimento, noi ci aspetteremmo un tempo di riverbero molto lungo (vari secondi) mentre se entrassimo in una stanzetta molto ovattata perché ricca di pannelli, al contrario, ci aspetteremmo un tempo di riverbero molto corto. Questo concetto, ben noto agli ingegneri acustici, è stato poi tradotto in formule riportate nella normativa. Ecco basterebbe progettare l’acustica degli spazi chiusi non mettendoci dentro quanto più materiale fonoassorbente possibile oppure tutto vetro (che non fonoassorbe) perché è sbagliato, ma quello giusto che serve per quel volume. Non è difficile, per un progettista.

Nel linguaggio comune si parla in modo generico di rumore ma dal punto di vista acustico sappiamo che esistono vari tipi di rumore. Quali tipi di rumore sono i più dannosi all’interno di un ufficio e quali accorgimenti si possono attuare?

Esistono due tipi di rumore: quello percepito a livello di corteccia cerebrale e quello che non arriva alla corteccia cerebrale. Il primo desta la nostra attenzione poiché il nostro cervello lo classifica come un segnale di possibile pericolo mentre il secondo è un rumore che non desta la nostra attenzione. Inoltre tra i rumori percepiti a livello di corteccia ci sono le voci intelliggibili, che riusciamo a comprendere e a quel punto ascoltiamo.

Entrambi i rumori hanno in comune una serie di danni fisiologici sull’uomo dipendenti da numerose variabili come ad esempio le caratteristiche fisiche del fenomeno, i tempi e le modalità di manifestazione dell’evento sonoro, la specifica sensibilità del soggetto esposto. In letteratura sono comunemente classificati come:

  • effetti di danno: vale a dire di alterazioni non reversibili o non completamente reversibili;
  • effetti di disturbo: cioè di alterazioni temporanee delle condizioni psicofisiche del soggetto, che siano chiaramente obiettivabili, determinando effetti fisiopatologici ben definiti;
  • annoyance: sensazione di disturbo e fastidio genericamente intesa che provoca una calo della capacità di concentrazione e quindi di produttività sul lavoro.

L’azione che l’esposizione a rumore determina sull’uomo è riconducibile ad effetti di tipo specifico (in particolare uditivi), ad effetti non specifici (di tipo neuroendocrino e psicologico e di ordine psicosomatico su organi-bersaglio) e ad effetti psicosociali (disturbo del sonno e del riposo, interferenza nella comprensione della parola o di altri segnali acustici, interferenza sul rendimento, sull’efficienza, sull’attenzione e sull’apprendimento, annoyance). 

Il rumore che arriva alla corteccia cerebrale, oltre agli effetti qui menzionati, produce anche una deconcentrazione verso l’attività svolta. Per queste ragioni gli obiettivi acustici da raggiungere all’interno di un open space sono duplici e per certi versi discordanti:

  •   Abbattere la pressione sonora all’interno del workplace.
  •   Rendere meno intelliggibile il parlato.

L’obiettivo n. 1 è raggiungibile rinchiudendo all’interno di box fonoisolanti le sorgenti sonore che è possibile racchiudere: meeting, telefonate, stampanti e fotocopiatrici, macchine del caffè. In seconda istanza si possono creare delle barriere diffrattive alla propagazione sonora quali spinewall sulle scrivanie. In terza istanza si può intervenire sul tempo di riverbero attraverso la fonoassorbenza ma, attenzione, non con generici pannelli ma con soluzioni e materiali che abbattano le frequenze sonore inferiori e superiori a quelle del parlato con tecniche particolari. Il perché è spiegato nell’obiettivo n. 2, ovvero quello di rendere meno intelliggibile il parlato, in modo da non deconcentrare gli addetti, attraverso il mantenimento di un alto tempo di riverbero sulle frequenze tipiche del parlato.

In letteratura si parla dell’ ABC dell’acustica ovvero Assorbire, bloccare o coprire il rumore (Absorb, Block, Cover). Quali sono le differenze ?

Assorbire il rumore significa trasformarlo in calore mediante materiali fonoassorbenti, tipicamente materiali fibrosi. Naturalmente ogni materiale ha una capacità più o meno elevata di trasformare il rumore in calore e, soprattutto, tale capacità varia per le frequenze udibili in funzione dei materiali.

Bloccare il rumore è una terminologia atipica: immagino si intenda usare la fonoimpedenza per ridurre la propagazione sonora. In sostanza una volta si usavano materiali molto pesanti, (cemento, piombo) oggi di usano materiali composti da sistemi di massa-molla-massa, il più semplice dei quali è il cartongesso opportunamente intervallato con lana minerale.

Coprire il rumore è una pratica che era in voga negli USA qualche anno fa e che si cerca di importare in Italia, ma che sconsiglio vivamente!!! Sostanzialmente qualcuno ha avuto l’idea di coprire, tipicamente con rumore bianco (assomiglia al rumore che fa una radio non sintonizzata) i rumori tipici di un openspace. Ma per come detto rispondendo alla prima domanda si rischiano gravi conseguenza psicofisiche sui soggetti che sono sottoposti a questi bombardamenti sonori.

Molte aziende si affidano a produttori di pannelli fonoassorbenti per risolvere ex post i problemi legati all’acustica. E’ davvero la soluzione migliore ?

Ogni situazione ex-post va esaminata e valutata singolarmente per capire esattamente quale sia il problema. Certamente andare da chi vende pannelli per chiedergli come fare a risolvere il problema per avere non un progetto bensì solo un preventivo, che sicuramente vedrà una grossa abbondanza di materiali, è certamente il modo per spendere molto senza avere nessuna garanzia dei risultati. Sembra incredibile ma ancora oggi questo avviene!

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Luca Brusamolino
Co-founder di Workitect e smart working expert. Dal 2016 si occupa di consulenza alle aziende nei processi di workplace change e nell’introduzione dello smart working. Docente di Master di Secondo Livello in HR c/o LUM, tiene seminari presso diverse Università italiane.
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Luca Brusamolino
Co-founder di Workitect e smart working expert. Dal 2016 si occupa di consulenza alle aziende nei processi di workplace change e nell’introduzione dello smart working. Docente di Master di Secondo Livello in HR c/o LUM, tiene seminari presso diverse Università italiane.
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