Se Elon Musk non vuole scommettere sugli uffici

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In un precedente articolo abbiamo visto come l’avvento di una nuova era di remote working – con l’aumento dei tassi di non occupazione delle scrivanie – stesse decimando il settore degli uffici negli Stati Uniti d’America, con relativa diminuzione dei valori immobiliari. Nel mio commento ho riportato che gli effetti negativi rischiano di scatenare un effetto domino finanziario.

Un’apocalisse che incombe sulle banche particolarmente esposte sugli immobili a uso direzionale e che Elon Musk, notoriamente contrario all’home working, avrebbe già previsto. Ma andiamo con ordine.

Secondo il Washington Post, la pandemia ha interrotto due decadi in cui il settore immobiliare dei fondi a destinazione uffici è stato un fattore di crescita per le banche americane locali. Milioni di contratti di locazione commerciale vanno a scadenza nei prossimi due anni e se non venissero rinnovati – cosa non improbabile data la diffusione dell’home working da New York a San Francisco – i valori degli immobili a uso direzionale cadrebbero, con gravi ripercussioni sui bilanci delle banche.

Standard & Poor’s stima che almeno 400 banche americane hanno accumulato prestiti nel settore immobiliare a uso commerciale-direzionale pari al triplo degli investimenti in asset considerati più sicuri. I tre quarti dei prestiti a questo settore sono nelle mani di banche regionali, com’era ad esempio la recentemente fallita Silicon Valley Bank. Significa che le banche locali negli USA hanno un peso elevato nei fondi d’investimento immobiliare e nelle emissioni di titoli sostenuti da ipoteche su uffici.

Elon Musk mette all’erta sulla crisi degli uffici

Il proprietario di Tesla e Twitter (ribattezzato X) ha dichiarato che “nei prossimi anni arriveranno a maturazione 2.500 miliardi di dollari di debiti immobiliari commerciali, mentre i tassi d’interesse sono più che raddoppiati e gli immobili commerciali sono occupati solo al 60 – 70%“. Ed ecco dove il cerchio si chiude. Anche perché forse il dato è peggiore di quanto ha dichiarato Elon Musk.

Come ha scritto il The Wall Street Journal, troppi americani lavorano ancora da casa”: negli USA il numero di lavoratori tornati in presenza a tre anni dalla pandemia è nettamente più basso, addirittura tra il 40 e il 60%.

Viene da sospettare che la retorica anti-home working a Tesla e Twitter non sia legata solo alla “paranoia da produttività”, quanto al timore che uffici vuoti abbassino il valore immobiliare dei medesimi. 

La preoccupazione per la diffusione dell’home working nel caso di Twitter sembra particolarmente strana per una multinazionale che ha ben altri problemi su cui concentrarsi. Il 90% dei ricavi della piattaforma social derivano dalla pubblicità e questa ci dicono sia in calo. Inoltre – nel momento del cambio di proprietà da Jack Dorsey a Elon Musk – la società è passata da 50 milioni di dollari in interessi passivi sul debito a 1 miliardo, a seguito dell’accordo con i finanziatori che hanno permesso l’operazione di acquisizione. E Twitter non ha molti beni materiali da dare in garanzia alle banche, nemmeno gli uffici.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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