Troppi uffici vuoti negli USA. Un’apocalisse immobiliare in arrivo anche in Italia?

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Negli Stati Uniti d’America il numero di lavoratori tornati in presenza a tre anni dalla pandemia è nettamente più basso rispetto ai dati registrati in Europa, tra il 40 e il 60%, contro percentuali del 70-90% nel Vecchio Continente.

Se è stato chiaro fin dal 2021 come il Covid-19 spingesse l’avvento di una nuova era di remote working, che l’aumento dei tassi di non occupazione stesse decimando il settore degli uffici negli USA – con relativa diminuzione dei valori immobiliari – necessitava di conferme. Conferme arrivate adesso da un gruppo di ricercatori (Gupta Arpit, Mittal Vrinda e Van Nieuwerburgh Stijn, Work From Home and the Office Real Estate Apocalypse, Maggio 2023) che ha aggiornato la valutazione precedente del 2022 sull’effetto del remote working sul valore degli uffici, suggerendo che la situazione sia peggiore di quanto già calcolato. Secondo il loro studio, il valore degli uffici a New York potrebbe diminuire del 44% entro il 2029, con una perdita stimata già avvenuta di 506 miliardi di dollari in tre anni dal 2019 al 2022 a livello nazionale. 

Gli autori attribuiscono questa revisione più pessimista alla significativa diminuzione dei canoni di affitto e del livello di occupazione degli immobili nel settore degli uffici. Se gli uffici di maggior pregio tengono il mercato, le altre proprietà sono più suscettibili agli effetti negativi e rischiano di scatenare un effetto domino finanziario

Sempre a primavera, in un articolo sul The Wall Street Journal, il giornalista Konrad Putzier evidenziava come il crollo del valore degli uffici minacci conseguenze sui bilanci comunali, in merito alle tasse sulle proprietà immobiliari. Inoltre, il calo consolidato dei pendolari che usano i mezzi di trasporto urbano avrebbe influito sulle casse delle aziende di trasporto pubblico. Due fenomeni che si aggiungono a quello già osservato del crollo dei servizi di ristorazione, alberghiero e della vendita al dettaglio.

Ora negli USA c’è una peculiare questione di morfologia delle città da tener di conto, ovvero a causa dell’espansione urbana molti statunitensi devono affrontare grandi tragitti casa-ufficio e segnati da tempi lunghi di percorrenza (gli ingorghi metropolitani americani li ha sperimentati pure il sottoscritto, quando durante una vacanza ho provato l’avventura di attraversare in auto Los Angeles in orario di punta!). 

Quindi chi ha potuto organizzarsi un ufficio in casa ha fatto resistenza al rientro in presenza.

Se da una parte le aziende continuano a ridurre gli spazi per abbassare i costi – e i lavoratori non sembrano voler rinunciare ad alcuni giorni di lavoro a distanza -, dall’altra la trasformazione repentina rischia di avere conseguenze molto pesanti. In concreto, gli economisti americani temono che il minor valore patrimoniale degli uffici vada a minare un mercato, quello direzionale-commerciale, quasi integralmente a debito. Un conto che alla fine potrebbero pagare anche i risparmiatori.

Ma attenzione, se la “desertificazione” delle città americane è un fenomeno in atto, poi osservato da anni pure in Europa in una metropoli come Londra, anche in Italia c’è Milano come esempio di città a rischio. Il capoluogo lombardo sta vivendo una fase economica-urbanistica particolare, con un disequilibrio evidente in termini di abitare.

In un precedente articolo su questo blog ci siamo chiesti se Milano fosse oggi una metropoli con ancora troppi uffici, citando addirittura una ricerca del 1994 di Milano Finanza che già all’epoca poneva il quesito. Stavolta aggiungiamo che venti anni dopo, ancora in tempi “non sospetti”, pure il Corriere della Sera scriveva

“​​Secondo il rapporto sul secondo trimestre 2014 dell’Ufficio studi di Gabetti, nell’area milanese sono complessivamente 1.575.000 i metri quadrati destinati a terziario inutilizzati, con una tendenza all’aumento del 12 per cento”.

In conclusione, se la profezia si realizzerà, sarà una “apocalisse dell’ufficio” annunciata, causata da un modello economico basato sulla costruzione immobiliare che ormai ha fatto il suo tempo, incompatibile pure con l’esigenza di ridurre il consumo di suolo. In altre parole, si tratta della rivoluzione dove “l’ufficio” non sarà più come prima. L’esperienza della pandemia ha fatto evolvere i modelli organizzativi del lavoro e cambiato le attenzioni dei lavoratori, che hanno toccato con mano i vantaggi di modelli di collaborazione più flessibili. 

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per L'Espresso, Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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