Smart Working: news positive all’orizzonte? Forse no

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Scatole, valigie, persone sconosciute dagli accenti più strani che si rivolgono a me in cerca di indicazioni… sono nel bel mezzo dell’ennesimo trasloco della mia vita, disorientato come il capitano di una nave in cerca di una rotta senza avere né una bussola, né un cielo stellato sopra la testa che possa tracciare una mappa verso la meta.

Dopo questa giornata simile più ad una tempesta (anche perché effettivamente a Roma non pioveva così da almeno sei secoli…), mi ritrovo finalmente di sera in compagnia del mio vinile (con un Brunori particolarmente ispirato dai polimeri), di un dito e mezzo – forse due – di rum (Don Papa per la cronaca) e di un fantastico sigaro cubano gentilmente offertomi dalla mia “pusher” Simona che non ringrazierò mai abbastanza.

Dopo essermi estraniato dal mondo per un’intera giornata che a me è sembrata infinita (chissà se anche Hendrik A. Lorentz per elaborare le sue teorie sulla relatività del tempo si era aiutato con il rum…) mi capita di leggere una notizia che, da un lato, non mi sorprende e, dall’altro, mi fa temere di essermi sbagliato.

Mi sono sentito come una Cassandra del XXI secolo che non creduta da genitori, Priamo ed Ecuba, su ciò che avrebbe combinato il fratello Paride, ha più volte lanciato un inascoltato appello sul futuro dello smart working.

Come spesso accade nei migliori noir, arrivati alla “zona Cesarini” (locuzione ufficialmente coniata dopo un Italia-Ungheria del 1931, ma che in realtà deve la sua paternità al giornalista Eugenio Danese dopo una rocambolesca Ambrosiana-Inter contro Roma), speravo che con la scadenza del 31 dicembre 2021, si potesse finalmente arrivare alla (ri)applicazione della Legge n. 81/2017 in materia di smart working.

Non sembra che sarà (proprio) così.

Se su una cosa la Legge n. 81/2017 sembrava essere stata netta era quella di affermare che lo smart working era faccenda tra datore di lavoro e dipendente (e non sindacale, ferma restando la possibilità di raggiungere per le aziende interessate tali intese).

D’altronde tale soluzione appare essere assolutamente coerente con lo spirito della normativa che vede (cosa che effettivamente è) il lavoro agile come uno strumento che avvantaggia non solo le aziende, ma anche il lavoratore.

Le cose però stanno per cambiare.

Mi viene in mente un’altra mia amica Cassandra e, cioè, Winston Churchill quando affermava che “L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità” e, in questi tempi che non inducono all’entusiasmo, vediamo che, in prossimità dell’auspicato ritorno alla “normalità”, nell’applicazione della Legge n. 81/2017 si è cercato – ed anzi si sta riuscendo – di “complicare” lo smart working attraverso un protocollo congiunto tra Governo e parti sociali.

La cosa francamente non riesco proprio a comprenderla. Mi viene però in mente un altro esperto di “traslochi”, Lucio Anneo Seneca (che condannato a morte da Caligola, venne graziato da un suo amante, sottoposto alla relegatio ad insulam da Claudio, che  poi lo richiamò a Roma dove divenne tutore di Nerone) il quale sentenziò “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.

Ecco, mi sembra che in tema di smart working la paura del ritorno alla normalità stia generando un passo falso e abbia fatto perdere le coordinate e la rotta.

Innanzitutto una questione metodologica: ma se il lavoro agile è un qualcosa che la stessa Legge n. 81/2017 ribadisce essere a favore del lavoro per facilitare gli equilibri tra vita privata e professionale, per quale ragione c’è la necessità di un protocollo quadro con le parti sociali che si dovrebbe aggiungere “a monte” all’accordo individuale con il dipendente?

L’intervento delle parti sociali è certamente dovuto in momenti di crisi o per discutere di questioni potenzialmente nocive per i lavoratori, ma non per affrontare “opportunità”. Volendo banalizzare: i sindacati devono essere coinvolti in caso di licenziamenti, casse, trasferimenti d’azienda, ma non in caso di progressione di carriera, aumenti di retribuzione etc.

Volendo banalizzare: i sindacati devono essere coinvolti in caso di licenziamenti, casse, trasferimenti d’azienda, ma non in caso di progressione di carriera, aumenti di retribuzione etc.

Se lo smart working è qualcosa di positivo per i lavoratori (e ciò è ripetuto dalla legge) perché è così necessario tale protocollo? 

Francamente i “rischi” per i lavoratori connessi allo smart working mi sembrano molto bassi considerando anche un altro ordine di argomenti: la Legge n. 81/2017 già esiste ed è, a mio modestissimo avviso, un’ottima legge che tutela i dipendenti (basti pensare ai requisiti dell’accordo individuale, alla tutela sull’infortunio sul lavoro, ai limiti sul controllo, alla disciplina del recesso, al principio di non discriminazione etc.).

Se poi si reputa necessario intervenire a livello di parti sociali perché si considera la Legge n. 81/2017 già “vecchia”, sarebbe stato forse più opportuno integrare e modificare direttamente il testo normativo e non cercare un protocollo con le parti sociali che peraltro mi sembra essere per molti aspetti una duplicazione di quanto già previsto dalla normativa (si parla infatti di sottoscrizione di accordi individuali con i dipendenti, di principio dell’alternanza, di strumenti di lavor, etc.).

Al riguardo, approfitto per affermare che (forse) su un solo punto la legge merita di essere (ancora) rinnovata e ciò in materia di diritto alla disconnessione che, ad oggi, sembra essere una tutela di stampo più formale che sostanziale, ma per risolvere tale questione sarebbe bastato aggiungere un comma alla normativa già in vigore.

Non mi convince troppo neanche l’ipotesi di inserire nel Protocollo la materia degli incentivi per le imprese che continueranno ad operare in modalità di lavoro agile anche nel post-pandemia. Mi sembra preferibile la soluzione, già adottata nel recente passato, di procedere con bandi regionali senza sommare un ulteriore anello al processo decisionale. Se, infatti, smart working significa semplificare, non credo che “aggiungere” elementi ai processi decisionali possa facilitare tale progettualità.

Da quanto vedo, però, sono uno dei pochissimi a pensarla così e questo protocollo sarà certamente siglato, ma per il futuro dello smart working – che ho così a cuore – spero di essere subito sbugiardato, perché, come diceva il cosmonauta Yuri Gagarin, “è meglio sbagliarsi in fretta che avere ragione troppo tardi”.

Sergio Alberto Codella
Sergio Alberto Codella
Avvocato da sempre interessato al diritto del lavoro, della previdenza sociale e sindacale. Da circa vent’anni svolge attività di natura giudiziale e consulenziale in favore di società e manager. É segretario generale della AIDR Associazione Italian Digital Revolution.
Sergio Alberto Codella
Sergio Alberto Codella
Avvocato da sempre interessato al diritto del lavoro, della previdenza sociale e sindacale. Da circa vent’anni svolge attività di natura giudiziale e consulenziale in favore di società e manager. É segretario generale della AIDR Associazione Italian Digital Revolution.
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