Il fenomeno del tecnostress: quando le tecnologie ci stressano

tecnostress

Tecnostress. Fonte di libertà o costrizione fatale? Oggi si fa strada un grande dibattito che vede come protagonista la tecnologia. Da un lato, può rappresentare un’opportunità di enorme prestigio, dall’altra viene concepita come una vera e propria costrizione: la costrizione a comunicare in continuazione.

Flussi ininterrotti di email, meeting online, call, videochat e messaggi vocali: al lavoro – come nella vita privata – la nostra mente è sempre più connessa così come i nostri device.

È dunque evidente che la tecnologia possa trasformarsi in una minaccia per il nostro equilibrio-psicofisico, sfociando alcune volte in una vera e propria forma di stress

Nel contesto lavorativo, quindi, oltre ad un efficace sistema di policy, quello su cui puntare è la promozione di un tecnostress “buono” e sfidante per i propri collaboratori e lo sviluppo di un adeguato livello di “digital awareness”. 

Tecnostress, cioè?

Nel contesto organizzativo, il tecnostress descrive una potenziale condizione di malessere dovuta all’uso costante delle tecnologie moderne per espletare compiti lavorativi. Il termine “tecnostress” è stato coniato dallo psicologo americano Craig Brod in un suo libro del 1984.

Brod, 40 anni fa, definiva questa forma particolare di stress come una “moderna malattia dell’adattamento causato dall’incapacità di far fronte alle nuove tecnologie informatiche in modo sano”.

Ci sono voluti più di 10 anni per ampliare il suo significato e identificarlo con “qualsiasi impatto negativo su atteggiamenti, pensieri, comportamenti o sulla psicologia causati direttamente o indirettamente dalla tecnologia” (Rosen e Weil, 1997).

Tecnostress, non sempre un mostro da combattere

Così come lo stress non è una malattia e non è sempre negativo, anche il tecnostress non è sempre qualcosa da combattere per tentare di eliminarlo.

Il tecnostress ha infatti una sua componente positiva, che potremmo definire “tecno-eustress” (da “eustress”, la componente positiva dello stress), e che ha a che fare con sfide e opportunità, piuttosto che minacce e ostacoli.

La componente buona implica una valutazione positiva delle richieste dell’ambiente che hanno il potenziale per promuovere la crescita personale. Dunque, si può facilmente comprendere come il tecno-eustress esiste a dimostrazione del fatto che le persone possono valutare le tecnologie come una sfida o uno stimolo positivo, sperimentando il conseguente stress “buono” che li motiva a impegnarsi, a migliorarsi e a ottenere risultati positivi. 

Al contrario, però, il tecno-distress” (da “distress”, la componente negativa dello stress) spiega i processi attraverso i quali gli individui valutano le tecnologie e il loro utilizzo come una minaccia, sperimentando il conseguente stress cattivo e trovandosi di fronte a risultati in gran parte dannosi. 

Sintomi del tecnostress cattivo

Una doverosa premessa da fare e che occorre sempre tenere a mente è che la sintomatologia da tecnostress ha carattere soggettivo. Spesso la sindrome, riconosciuta a tutti gli effetti come malattia professionale dal 2007, non viene prontamente identificata e rischia di degenerare sino a costituire un forte o totale impedimento nello svolgimento delle attività quotidiane e in ambito relazionale.

In generale, i sintomi da tecnostress si possono suddividere in due macro-gruppi: sintomi fisici (come disturbi del sonno, disturbi gastrointestinali, mal di testa, fatica cronica, disturbi cardiovascolari, formicolio agli arti, dolore cervicale, disturbi ormonali, disturbi della pelle e sudorazione) e sintomi mentali o psichici (irritabilità, depressione, cambiamenti comportamentali, diminuzione del desiderio sessuale, crisi di pianto e apatia). 

La digital awarness

Analizzando i sintomi appena elencati, è chiaro che gli effetti del tecnostress non ricadono solo sul lavoratore ma su tutto il sistema produttivo dell’organizzazione. Dunque, cosa può fare l’azienda?

Il primo passo per prevenire tali accadimenti è sicuramente quello di avere cura che nella propria realtà organizzativa venga raggiunto un adeguato livello di digital awarness, consapevolezza digitale.

Per digital awareness si intende quella digital soft skill che rappresenta l’assunzione di consapevolezza riguardo all’impatto che la trasformazione digitale può avere sull’individuo e la conseguente capacità di gestirlo.

Occorrono competenze digitali, non tecniche ma a supporto della gestione della tecnologia.

Organizzare dei percorsi di training per i membri dell’organizzazione con l’obiettivo di raggiungere un buon grado di consapevolezza sul rapporto con il digitale è certamente un’ottima strategia che l’azienda può adottare per imparare a usare gli strumenti digitali senza esserne usato.

In Workitect organizziamo percorsi formativi e di supporto alle aziende. Per approfondire il tema e richiedere un primo incontro potete compilare il form che trovate qui sotto.

Vittoria Olivieri

Vittoria Olivieri

Psicologa del lavoro. Svolge attività di orientamento formativo e professionale per studenti e lavoratori. Dal 2017 accompagna lavoratori e aziende nell’implementazione di piani di Smart Working, supportando i lavoratori sia dal punto di vista formativo che psicologico.
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