Lavorare “smart” sarebbe davvero più intelligente

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Il mio collega a FUL Magazine Antonio Laudazi, in un articolo sullo smart working, ha lanciato la provocazione che “intelligente sarebbe non lavorare affatto”:

<< […] Il lavoro non è intelligente, il lavoro è una fregatura. Intelligente sarebbe non lavorare e godersi il nostro prezioso tempo. Andare oltre i trend e le etichette può aiutarci a capire la reale evoluzione possibile, verso un modello di libertà, autonomia e responsabilità>>.

Jonathan Malesic sul The New York Times ha scritto che “la pandemia ha mostrato quanto sia sbagliato e ingenuo basare la nostra esistenza sul tipo di lavoro che facciamo”. Cosa significa? Che la struttura etica del lavorare è in discussione. Un sistema rimasto legato per decenni a dei capisaldi immutabili sta ora barcollando: le 40 ore settimanali, le ferie agostane, i cartellini da timbrare, le riunioni, le trasferte, i report di produttività basati su standard assunti ma poi difficili nella pratica da rispettare… Insomma tutta una struttura che ha generato stress, estraniamento e assenteismo. Ma la cosa peggiore in assoluto prodotta da questo “sistema” è la considerazione che le persone senza un impiego fossero meno dignitose. 

Da questo probabilmente scaturisce la polemica tutta italiana sul Reddito di Cittadinanza. Si è creata una coalizione trasversale che comprende Confindustria, Il Sole 24Ore, i partiti del Centro-Destra, secondo cui percepire il Reddito di Cittadinanza sia una sorta di vergogna. Ecco quindi enfasi sui casi dei furbetti che vengono scoperti a beneficiarne senza averne diritto. Eppure con la pandemia migliaia di persone hanno perso il lavoro e con questa misura di sostegno hanno evitato che il tasso di povertà nel nostro Paese facesse un balzo in avanti. Tra l’altro c’è una statistica che non si dice mai, ovvero che a oggi su scala nazionale i percettori sono il 75% di tutti quelli che potenzialmente ne avrebbero diritto. 

Non è più scandaloso che l’Italia – già il Paese dei 100 miliardi annui di Euro di evasione fiscale stimata (30 come IVA non versata…) – sia rimasta con l’Ungheria (di Orbán) l’unico membro UE a non avere il salario minimo stabilito per legge. L’esperto di Risorse umane Osvaldo Danzi in merito ha detto in un’intervista al Fatto Quotidiano che sarebbe un “traguardo necessario nella misura in cui abbiamo [in Italia] una cultura al ribasso”.

Quindi, voglio arrivare al punto che dobbiamo dare valore a quello che genera valore e non barnout, come ho scritto in un precedente articolo su questo blog.

Ritornando all’articolo di Maselic “The Future of Work should be working less”, l’assunto dell’accademico americano è: <<we now have space to reimagine how a job fits into good life>>. Ovvero spesso le persone hanno trovato un significato profondo della loro vita nel lavoro. Ma le aziende hanno sfruttato questo fatto per spingere i collaboratori a fargli credere che fosse giusto e logico. Ma cosa c’è di smart in passare il tempo seduti a una scrivania a rispondere e inviare mail ai colleghi che si trovano nell’ufficio accanto? Magari dopo aver perso un’ora nel traffico per raggiungerla quella scrivania! Quindi, non può essere questo il senso etico dell’occupazione, considerando tutte le cause imponderabili che possono far perdere l’impiego. 

Il futuro del lavoro, se lo vogliamo veramente intelligente, dovrebbe essere basato sul miglior bilanciamento con la vita privata e il benessere della persona al centro. Quindi ben vengano reddito di base, salario minimo, smart working o addirittura settimana corta. In una frase: il lavoro sia subordinato alla vita e non viceversa.

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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