Articolo di Gianfranco Raffaelli per Dove (Corriere della Sera).
Lo smart working, detto anche “lavoro agile” a distanza, non è più un’eccezione, ma è destinato a entrare nelle abitudini di lavoro degli italiani.
Da come allestire una postazione confortevole alle norme di legge, ecco quello che c’è da sapere per iniziare, per farlo al meglio. E per salvaguardare gli spazi del proprio tempo libero. I consigli degli esperti.
Smart working: il boom
Lo smart working, il “lavoro agile” a distanza, i cui praticanti sono esplosi, dopo una lenta crescita negli anni scorsi, nell’anno della pandemia, è qui per restare. Un’accelerazione, nata dall’emergenza, destinata a cambiare il concetto di ufficio, i confini fra tempo libero e tempo professionale, vacanza e lavoro. E con loro cambieranno la città, il viaggio e l’hotel.
Smart working: come iniziarlo, come farlo al meglio? Dove fa il punto su questa rivoluzione con la guida di Luca Brusamolino, Ceo della società di consulenza per aziende Workitect ed esperto di Smart working, per aiutare a vivere al meglio il cambiamento. Su questo tema Workitect ha riunito lo scorso 27 ottobre per un Webinair (dibattito on line), alcuni dei maggiori esperti sul tema come Philip Vanhoutte, pioniere dello Smart Working e autore del Manifesto dello smart worker (2014, Libri Este), James Thoem, Managing director di Copenhagenize, la più importante società di urban design al mondo per la ciclabilità e Paolo Manfredi, autore del libro Provincia non periferia (2019, Egea) ed esperto di innovazione inclusiva.
Questo brano è frutto di un colloquio con Luca brusamolino e un resoconto di quell’evento.
Smart working: come funziona
Esperimento di una nicchia di illuminati e nomadi digitale, lo smart working è diventato in pandemia un esperimento sociale di massa. Incentivato e raccomandato a livello globale, ha cambiato il concetto di luogo e tempo di lavoro. Da non confondere con il semplice telelavoro(lavoro a distanza), il “lavoro agile” implica anche un diverso modo di organizzare il lavoro. Ci si concentra più sul “risultato”, rimescolando orari, mansioni e in certi casi gerarchie. Il lavoro di squadra è concentrato in finestre limitate. Manca l’interscambio quotidiano con i colleghi. Al contempo, ha un importanza nuova la capacità di organizzare i propri tempi e la capacità di presentare in modo più mirato il proprio apporto creativo.
“Lavoro agile”: come iniziare
Lo smart working di massa implica una nuova gestione delle aziende e delle città (riducendo gli spostamenti lunghi e giornalieri si potrebbe finalmente davvero entrare ad esempio in un era post-auto), ma anche una riorganizzazione della propria casa: strumenti, orari, spazi. Ora, in emergenza, e in futuro come modalità “parallela” al classico modello lavorativo. Sempre più aziende, infatti, dopo l'”Esperimeno 2020 “stanno pensando a modelli in cui lavoro in presenza e lavoro agile si alterneranno e comporranno in un nuovo lavoro “fluido”. Ecco qualche idea e spunto di riflessione.
Smart working: il passaggio al lavoro agile
Nell’attuale situazione sanitaria il passaggio al “lavoro agile” è fortemente consigliato e incentivato per limitare gli spostamenti in città e troppi contatti sui mezzi pubblici e nei luoghi di lavoro.
L’ultimo DPCM, torna a chiederlo alle aziende private in forma di forte raccomandazione, ogni qualvolta sia possibile in base alla tipologia e logistica della propria attività. È invece un diritto per tutti i dipendenti “fragili” per età e problematiche individuali fino al termine dello stato d’emergenza (al momento, il 31 gennaio).
Lo “smart” è un diritto anche per almeno un genitore di studenti fino ai 14 anni a casa per “quarantena”.
Fino al 31 dicembre le aziende possono ricorrere allo smart working in modo semplificato, cioè senza accordi individuali e, di fatto, in assenza di una normativa precisa su tutti i dettagli di questa pratica.
Nella pubblica amministrazione è invece specificamente indicato l’obiettivo di avviare allo S.W. negli uffici per almeno il 50 % dei dipendenti, di evitare riunioni in presenza se non per dimostrabile necessità, e il divieto di penalizzare il dipendente smart ai fini professionali e di carriera.
La situazione in Italia
A metà 2020 oltre otto milioni di persone stanno lavorando in remoto, secondo la Fondazione Di Vittorio – Cgil contro il mezzo milione del 2019 certificto dall’Istat.
Secondo un sondaggio del portale Airbnb, inoltre questo autunno il 66% degli intervistati ha cercato di fare smartworking lontano da casa: meglio al mare o in montagna,e la stessa pecentuale ritine di aver ricavato dal lavoro agile “beneficio fisico e mentale”.
Tra i vantaggi, il tempo risparmiato in spostamenti casa-lavoro, che ora può essere impiegato per la famiglia, lo sport, le proprie passioni. Ma anche il risparmio economico dalle mancate spese di trasporto, pranzi di lavoro e così via.
La connessione
Una buona connessione è fondamentale per l’esperienza smart.
Da chiarire se, in base a eventuali contratti, la propria azienda è tenuta a coprire le spese di connessione (modem, abbonamento, chiavette usb).
Verificare la connessione
Se si usano i gigabyte del proprio abbonamento sullo smartphone – oggi la maggior parte di essi sono convenienti e sufficienti a sostenere una normale attività da videoterminalista -, va valutato il tipo di lavoro che si va ad affrontare: lavorare principalmente su testi ed e-mail è meno dispendioso, in termini di traffico, dell’utilizzo costante di video, video-riunioni, file audio, video o immagini ad alta definizione. Può essere inoltre più alto il consumo all’estero.
Avverte Luca Brusamolino che, se si fa smart working da una struttura ricettiva, come un hotel o un ostello, va precisata all’atto della prenotazione la propria necessità di un wi-fi costante e potente (il segnale può variare in diversi punti di uno stesso edificio) e va verificato che esso sia compreso nel prezzo.
Se l’idea è quella di fare smart working da un centro minore italiano, in zone montuose o collinari, da verificare prima la necessaria copertura in tale zona.
Lo schermo
Anche la dimensione dello schermo può incidere sulla qualità di lavoro, l’efficienza, la gestione dello stress.
Un buon pc portatile (strumento principe dello smartworker) è sufficiente se l’unico compito del videoterminalista è la scrittura. Se si tratta però di gestire più file o applicazioni insieme, lavorarere su grafici, immagini o video, l’ideale sarebbe uno schermo equivalente a quelli professionali da ufficio. Soprattutto per dimensioni.
Scegliere lo schermo
Soluzioni? Qualsiasi portatile può essere collegato a uno schermo da pc “fisso” con l’apposito cavo.
Si può quindi ricostituire una buona postazione comprando il solo schermo da pc (se ne trovano da 100 euro).
In alternativa, tutte le tv di nuove generazione a schermo piatto possono essere collegate a un portatile: si può quindi lavorare sullo schermo della tv di casa utilizzando tastiera, mouse e memoria del pc portatile.
In casa – La gestione dello spazio
Videoriunioni dalla cucina? Può funzionare. L’ideale però, consigliano gli esperti di Worktec, è ricreare ove possibile in casa condizioni di lavoro simili all’ufficio.
Sistemare la postazione
Illuminazione sufficiente, l’eliminazione di tutti i rumori di disturbo, una sedia e un piano di lavoro che permettano una posizione comoda ed ergonomica.
Sistemarsi su letti o divani può sembrare comodo ma, nell’arco di una giornata può incidere su concentrazione e salute. Meglio una sedia e un piano di lavoro ergonomico, buona illuminazione, eliminazione di rumori di fondo e di possibili interruzioni e distrazioni.
Meglio una stanza, anche piccola, ma a propria esclusiva disposizione, almeno per parte della giornata. Il guru belga dello smart working Philippe Vanhoutte ritiene importante il rapporto con la natura: una finestra o un balcone su un giardino, la possibilità di lavorare in un parco o terrazzo possono aiutare a gestire lo stress da (tele)lavoro.
Vanhoutte usa anche una sorta di leggio che permette di lavorare con un portatile in piedi spostandosi facilmente in diversi punti della casa o del giardino, magari seguendo il sole. “In un normale ufficio ci si alza per andare dal collega, alla stampante, in riunione; a casa si rischia l’immobilità assoluta. Lavorare qualche minuto in piedi aiuta circolazione, respirazione e postura“.
La gestione del tempo
Attenzione lo smart working non indica, come il termine “telelavoro”, il mero lavorare a distanza, con orari, mansioni, gerarchie e compiti identici al lavoro “in presenza”, ma una gestione molto più fluida della giornata professionale.
Organizzare il proprio tempo
Smart può essere lavorare la notte o al mattino presto, o diluire la giornata e la settimana lavorativa tra pause e diversioni. cocentrare il lavoro in session intense nella settimana per guadagnare in altri giorni tempo per la famiglia, gli amici e e le proprie passioni.
Luca Brusamolino mette in guardia però, che l’autogestione non si trasformi in un lavoro che si spalma in tutta la vita e la giornata, sempre connessi (di solito con pc + smartphone) e disponibili.
L’ideale sarebbe trovare un giusto compromesso: una scansione del tempo libera e personalizzata ma anche costante, con riti, orari limiti serali prestabiliti. E pause rigeneranti (idealmente una decina di minuti), senza nessun contatto digitali, magari facendo attività fisica, magari nel verde del giardino o di un parco.
Smart Working e privacy
Costituisce uno dei principali freni al ricorso massiccio dello smart working da parte delle aziende il timore di disperdere e mettere a rischio dati sensibili.
Attenzione alla riservatezza
Rispetto alla normale attenzione a gestire password e codici d’acccesso il “lavoro agile” effettuato, ad esempio, da un coworking, lo spazio comune di un hotel o una spiaggia comporta un’attenzione in più.
Il perfetto luogo per lo smart working deve aver spazio per posizionare i monitor in modo non troppo esposto, e permettere una telefonata o una teleriunione lontano da orecchie e occhi indiscreti. Non va mai dimenticato di non essere nello spazio protetto del proprio normale luogo di lavoro.
La riunione
Croce e delizia dello smart working. Che sia la riunione o il webinair, il congresso o la lezione on line, oggi sono tanti i programmi che permettono di interagire con più persone in diretta on line. Come al lavoro. O quasi.
Contenere i tempi delle riunioni
Lo smartworking secondo Philippe Vanhoutte può essere una cura alla malattia del meeting, sempre più diffusa nei luoghi di lavoro: troppe riunioni, troppo lunghe, dove difficilmente si ottiene l’apporto migliore da tutti i partecipanti.
Nell’era dello smart working diffuso non solo le riunioni devono essere meno lunghe, menoe numerose e più mirate (difficile mantenere partecipazione e concentrazione oltre un certo limite), ma devono diventare uno stimolo a focalizzare il proprio apporto creativo.
L’autogestione
Da tutto questo deriva un cambiamento nel concetto stesso di “dipendente”.
Lavorare per obiettivi
“Nello smart working ottimale il dipendente in un lavoro di concetto diventa manager di sé stesso e delle proprie prestazioni.
Impara a presentare meglio sé e il proprio lavoro. Si può lavorare sul linguaggio, sull’essenzialità e chiarezza delle proprie comunicazioni, sulla voce che, in una situazione in cui non c’è interazione fisica e linguaggio del corpo, diventa davvero fondamentale. Una sfida. Nel nome della concretezza, dell’efficenza e del “marketing di sé stessi”.
Smart Working e viaggi
Il lavoro agile o smart working nasceva in tempi precovid anche come la formula che avrebbe creato una nuova generazione di “nomadi digitali”: lavoratori, soprattutto nel campo del turismo, senza una base fissa.
Workation = lavoro+vacanza
Computer portatile e wi-fi permettono infatti di lavorare in ogni luogo e paese.
È il principio che, nell’estate 2020, ha sviluppato il fenomeno della workation (work+vacation): portarsi il lavoro nei luoghi di villeggiatura per permettere ai familiari di godersi ilmare o la montagna e per lavorare in posti più stimolanti e salutari.
Da precisare che la formula di “lavoro agile” in modo semplificato a cui il governo ha invitato, in emergenza le aziende non regolamenta il luogo da cui si lavora.
“Attenzione solo nei casi si sia stipulato con la propria azienda un contratto individuale che regolamenti il lavoro a distanza”, avverte Luca Brusamolino“: in alcuni casi potrebbe esserci una clausola che vieta di lavorare dall’estero. Il motivo è soprattutto la differenza legislativa da paese a paese per quanto riguarda la sicurezza del dipendenti, la responsabilità per eventuali danni e una diversa fgestione e tutela di dati sensibili personali e dell’azienda.
Nel dubbio meglio verificare presso il proprio ufficio personale o di consulenza legale.
In hotel
Una soluzione che sta emergendo in molti grandi centri per dipendenti in smart working che non abbiano una situazione ideale di lavoro a casa è utilizzare uno spazio “terzo” attrezzato in città nelle ore di lavoro.
C’è chi prende in afitto, magari dividendo la spesa con colleghi fuorisede, un locale pied a terre da gestire in sicurezza.
Gli spazi di coworking si sono in molti casi attrezzati secondo le nuove norme di sicurezza sanitaria. Interessante anche la soluzione hotel. Molti indirizzi, specie nel campo del lusso o del turismo congressuale, offrono ora le proprie aree comuni per smart working o piccole riunioni in sicurezza e privacy, con ottima connessione e servizio ristorante in camera.
Bleisure: coniugare lavoro e tempo libero
“È un modo intelligente in cui l’istituzione hotel reagisce all’emergenzo, facendosi “base” in città non solo per dormire. Un evoluzione del concetto di customizzazione, in cui l’hotel si adatta alle esigneze, gusti e bisogni della persona”.
L’hotel può essere un’idea, magari per un breve periodo di lavoro intenso in vista di una scadenza importante, con lo sfizio di avere a disposizione, in pausa o a fine orario di lavoro, la sauna, la palestra o il ristorannte stellato. Soli ma con la possibilità, stimolante, di incrocaire in momenti e spazi comuni persone diverse.
Un luogo che realizza il concetto di bleisure, mix di impegno professionale e momento ricreativo nello stesso soggiorno.
Il governo di Dubai oggi offre ai professionisti stranieri un programma di lavoro virtuale di un anno: i lavoratori stranieri vengono invitati a vivere nell’Emirato pur continuando a lavorare per la propria azienda. Godendo dei servizi e benefit esclusivi della città.
Questo è un modo con cui il mondo dell’accoglienza può adattarsi e superare questa crisi.