Di Luca Brusamolino ed Ugo Calvaruso
Già dagli anni Novanta, con l’introduzione delle tecnologie informatiche, è sorta l’esigenza di ridefinire il concetto di organizzazione del lavoro e degli spazi lavorativi (Castells, 1996) e, quindi, di renderli più agili, tecnologici e, soprattutto, interattivi.La digitalizzazione ha ulteriormente trasformato l’organizzazione del lavoro (Klaus Schwab, 2016), attraverso l’interconnessione e l’accelerazione dei processi, rendendo questa esigenza una necessità, la quale richiede di essere compresa e di generare forme di lavoro innovative e più Smart. L’attuale diffusione del Covid-19 a livello mondiale, però, ha di fatto obbligato le aziende ad adottare forme di lavoro da remoto, per garantire la continuità del business.Ma è bene comprendere che il lavoro da remoto (o a distanza) è ben diverso dallo Smart Working, che è di fatto una nuova filosofia manageriale fondata sulla flessibilità e l’autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Un vero e proprio nuovo modo di lavorare che fonda le sue basi su 3 pilastri: Tecnologia, Spazi di lavoro e organizzazione. Un’organizzazione che attiva lo Smart Working, deve avviare un percorso di trasformazione graduale e, pertanto, dotarsi di tecnologie adeguate e acquisire le competenze necessarie per utilizzarle in maniera produttiva. Bisogna inoltre costruire una nuova cultura aziendale che sia “più Smart” e, soprattutto, a norma in termini giuslavoristi.
In questo scenario le risorse umane rimangono di fondamentale importanza a patto che sviluppino competenze, abilità e conoscenze tecniche e manageriali in grado di attivare forme innovative ed efficaci di social collaboration, attraverso l’uso di tecnologie digitali avanzate, piattaforme e-learning e di crowdsourcing, e servizi di consulenza e di formazione blended e integrati. È quindi necessario non solo investire in tecnologia ma, anche, nel miglioramento dei processi (Edgar H. Schein, 1999) e nella formazione.
Rivoluzione digitale, Smart Working e Change Management
La digitalizzazione ha reso possibile un incremento della produzione delle informazioni e sta determinando la possibilità di incredibili trasformazioni organizzative. Per essere compreso, questo processo deve essere coniugato con quello dell’accessibilità e della connessione, perché, come ben lascia intendere l’espressione “ATAWAD” (Any time, Anywhere, Any Device), coniata da Xavier Dalloz, oggi siamo tutti è interconnessi. Lo Smart working è reso possibile, in primo luogo, dalle opportunità offerte dall’ICT che, insieme alla diffusione del cloud e di piattaforme di collaboration, offrono sempre maggiori possibilità di connessione, di comunicazione.
La rivoluzione digitale permette, quindi, un grado di flessibilità sempre più elevato sia rispetto al luogo in cui la prestazione lavorativa può essere erogata (flexplace) sia riguardo ai tempi in cui può essere realizzata (flextime). Inoltre, sebbene il motto “working anytime and anywhere” presume che la flessibilità del tempo (orari) e dello spazio (luoghi) di lavoro vengano attivate insieme, in realtà nelle aziende s’incontrano differenti modelli organizzativi.
Nello specifico si incontrano principalmente tre opportunità, ovvero: si può avere una flessibilità temporale senza quella spaziale e, quindi, si lavora negli orari desiderati ma in luoghi prestabiliti, tendenzialmente in ufficio (definibile come “flextime without flex-place”); o si può avere una certa libertà nella scelta degli spazi dove svolgere le attività lavorative, non accompagnata dalla libertà di scelta degli orari (definibile come “flex-place without flex-time”); infine i lavoratori possono avere una flessibilità sia nei tempi sia negli spazi di lavoro (definibile come “flex place with flex time”) (Thompson et al, 2015).
Un altro aspetto fondamentale dello smart working da tenere in considerazione è quello degli spazi di lavoro. Le organizzazioni tradizionali si fondavano su modalità di desk based working, un modello di layout caratterizzato da una postazione assegnata in ufficio o in open space. I limiti di questo modello sono però una scarsa mobilità interna, un rumore in open space, privacy acustica e visiva, poche aree di supporto e spreco di spazio. Oggi, invece, le aziende, che vogliono adottare modelli di organizzazione smart, hanno la possibilità di ripensare i propri uffici attraverso la costruzione e l’organizzazione di spazi di collaborazione, contemplazione, concentrazione e comunicazione in quanto si fondano su una modalità activity based working, caratterizzata da un desk sharing e clean desk, un’alta mobilità interna e aree diversificate, una possibilità di scelta e spazi flessibili e prenotabili, e da una razionalizzazione degli spazi. Inoltre bisognerà puntare e orientarsi sempre più al co-working e, quindi, alla costruzione di space as a service, sedi dislocate, spazi aperti, networking e modalità di attrazione dei talenti, innovazione e creazione di startup.
Dato il forte impatto che questi cambiamenti hanno sull’organizzazione, bisogna definire un processo di Change Management, che preveda momenti di assessment e di analisi dell’azienda, il coinvolgimento delle persone all’interno di un progetto di cambiamento e la progettazione di interventi consulenziali e formativi adeguati. Perciò i leader delle aziende e le unità Human Resource non devono solo acquistare strumenti tecnologici, ma costruire percorsi, ridisegnando gli spazi e i processi organizzativi, sviluppando motivazione e consapevolezza nei lavoratori e valorizzando gli aspetti relazionali e manageriali (e non solo tecnici). Per avviare un percorso di cambiamento è possibile utilizzare metodi formativi innovativi, che si avvalgono di piattaforme e-learning e di crowdsourcing per migliorare l’apprendimento e la produzione di informazioni e di conoscenza. Inoltre, attraverso servizi consulenziali integrati, i processi quali l’analisi del fabbisogno e della progettazione diventano più veloci, efficienti ed efficaci.
Formazione per lo SMART Working: i tecnicismi non bastano
Lo Smart working sta assumendo un ruolo sempre più importante e sui media si sta discutendo molto del fenomeno. Ma per avere successo non è sufficiente che si disegnino in maniera innovativa e coerente gli spazi fisici e quelli virtuali. Non basta poi che si operi all’insegna del flextime and flex place (Raoul CD. Nacamulli e Nicolò Soresi, 2019).
Bisogna progettare soluzioni e interventi consulenziali efficienti e il giusto supporto formativo, sia in termini tecnici sia manageriali, attraverso la visione sistemica e la consapevolezza di ruolo. Tutti questi elementi possono essere tenuti in considerazione solo se si costruiscono i giusti processi, anche formativi, attraverso un check organizzativo, un’analisi del fabbisogno e dei bisogni adeguatamente compiuta e una progettazione ad hoc di sistema e di percorsi di formazione a supporto del cambiamento organizzativo, o change management, da compiere. Inoltre non basta formare tecnicamente le persone, ma bisogna lavorare sulla loro motivazione, la loro consapevolezza del cambiamento e del proprio ruolo, le intelligenze emotiva e sociale per poter lavorare in gruppo o all’interno di una community virtuale o ecosistemi. Pertanto, bisogna anche capire come utilizzare gli strumenti di social collaboration in maniera Smart, rendendo più efficaci le riunioni e i lavori di gruppo, oltre che migliorare le conoscenze e le capacità delle persone rispetto a una tematica per riuscire a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Non basta parlare semplicisticamente di cultura a rete, perché per poter sviluppare organizzazioni che abbiano una struttura a rete bisogna definire un vero e proprio cambiamento culturale e comportamentale. Tra la cultura e il comportamento c’è l’organizzazione, nel senso che è necessario valorizzare gli anelli organizzativi intermedi (come i middle manager), che oggi vanno più che mai formati adeguatamente.
Il passaggio dall’individuo al piccolo gruppo, fino alla creazione di comunità è diventato una necessità da comprendere e attuare. Quando si parla di grandi gruppi o cluster, si devono immaginare non solo aziende o corporate, ma territori, ecosistemi, filiere, comunità, ecc. Questi possono essere costruiti utilizzando in maniera appropriata le nuove tecnologie, disegnando in maniera adeguata i processi organizzativi e, soprattutto, attraverso strumenti (piattaforme e-learning o crowdsourcing) e metodi formativi avanzati, blended e ad hoc, ben progettati e che sappiano soddisfare i fabbisogni organizzativi e i bisogni individuali. Attualmente, nelle difficoltà che stiamo vivendo, si stanno presentando anche alcune opportunità che sta a noi capire come coglierle.