COP28: è sempre l’ultima chiamata per il clima e ci riguarda tutti

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La Conferenza annuale dell’ONU sul clima COP28, partita il 30 novembre a Dubai, oggi è arrivata alla chiusura dei lavori e c’è molto interesse per la Dichiarazione finale. Presieduta dal petroliere Sultan al-Jaber, CEO anche dell’azienda petrolifera statale emiratina, non solo deve presentare dei risultati concreti (c’è stato l’accordo sul fondo per i loss & damage), ma anche dimostrare di essere stata credibile.

Si è fatto fatica ad aver fiducia in al-Jaber, che da una parte ha condotto le trattative tra quasi 200 Paesi per la decarbonizzazione delle rispettive economie e dall’altra siede sulla poltrona di amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company. Un petroliere sta guidando la lotta ai combustibili fossili, principali responsabili delle emissioni di CO2, è uno scherzo?! Non certo per l’OPEC, l’organizzazione dei Paesi petroliferi che ha fatto lobbying fin dal primo giorno.

Il giornalista Ferdinando Cotugno, che da tempo si occupa di seguire le conferenze sul clima per il quotidiano Domani, ha denunciato la strategia degli emiratini alla COP28, i quali si giustificano di fronte allo scetticismo del mondo ambientalista con i grandi investimenti nelle energie rinnovabili. Ma <<[…] gli investimenti in rinnovabili hanno senso da un punto climatico se si sostituiscono ai combustibili fossili, non se si aggiungono a essi. […] Stanno investendo in rinnovabili? Tantissimo. Stanno dismettendo i fossili? Per niente>>. Quando poi Al-Jaber ha dichiarato al The Guardian di voler reinvestire i profitti del petrolio per sostenere la transizione energetica abbiamo avuto la conferma che la narrazione degli Emirati Arabi Uniti è puro greenwashing

Di cosa si è discusso alla COP28 di Dubai?

La posizione negoziale ufficiale per l’Unione Europea (ma anche degli USA) alla COP28 è stata: phase out, ovvero uscire dai combustibili fossili, triplicare le fonti rinnovabili e stoppare la costruzione di nuove centrali a carbone. 
Sono ovviamente posizioni di compromesso. Durante i round preparatori per la Conferenza alcuni Paesi avevano dimostrato di voler essere più coraggiosi, come gli scandinavi o gli olandesi, mentre l’Italia era rimasta nel gruppo dei “cattivi” con i Paesi dell’Est Europa per trovare scappatoie sull’utilizzo delle fonti fossili. Insomma la miopia politica continua a inchiodarci al passato. 

Nonostante l’Accordo di Parigi sul Clima (2015) chiami a contenere l’aumento delle temperature terrestri a 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale, probabilmente il globo si riscalderà di almeno 2,5 gradi entro fine secolo. Per mantenere l’aumento medio delle temperature almeno entro i 2 gradi, l’impegno sarebbe quello di ridurre le emissioni dei gas serra climalteranti del 28% entro il 2030. Ma si scontra con vecchie strategie di “sicurezza energetica”. Niente di nuovo, peraltro, considerando certe recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio – presente all’inaugurazione della COP28, ha ribadito che la transizione ecologica non deve essere ideologica, ma cosa significa?! – e del Ministro delle Infrastrutture.  

Cosa possiamo fare noi?

In un precedente articolo su questo blog citavo una recente ricerca della Cornell University sul lavoro da remoto che dimostrerebbe come il problema delle emissioni climalteranti non venga tanto dai trasporti bensì dai consumi energetici degli uffici. La conclusione era che l’abbattimento di gas serra di chi lavora da casa supererebbe il 54% rispetto a chi invece deve recarsi in ufficio. Ma la realtà era più complessa per due motivi che citavo nell’articolo: sostanzialmente il remote working può ridurre l’inquinamento, ma i problemi di mobilità privata urbana sono strutturali.

Ed è qui che interviene la narrativa del greenwashing “emiratino” che ci riguarda tutti. Alla fine dei conti, il colpevole delle emissioni non sei tu che hai scelto di muoverti con l’auto invece che con i mezzi pubblici; questo è ciò che i grandi inquinatori vorrebbero farti credere per scaricare le proprie responsabilità. Certo, se tutti gli italiani andassero al lavoro in bici o a piedi le emissioni globali dell’Italia si abbasserebbero. Ma un manipolo di sei/sette aziende del fossile da sole – da Saudi Aramco a Gazprom, passando per Shell o British Petroleum – emettono tanta CO2 quanto decine di milioni di persone messe insieme!

Attendiamo fiduciosi un accordo a Dubai – oggi o nei prossimi giorni nel caso al-Jaber voglia concedere più tempo per i negoziati – ma se chi inquina ci dice di non inquinare, è sempre l’ultima chiamata per l’ambiente fino alla prossima chiamata!

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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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Francesco Sani
Giornalista Pubblicista laureato in Sociologia all'Università di Firenze. È Direttore della rivista Firenze Urban Lifestyle e collabora con altri magazine e blog su temi attinenti Cultura, Ambiente e Società. Scrive e ha scritto per Il Fatto Quotidiano, Smart Working Magazine e Artribune.
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