I Cavalieri dell’Apocalisse di ogni lavoratore: quarto cavaliere, la mancanza di desiderio

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Concludiamo questo percorso con l’ultimo dei nostri Cavalieri dell’Apocalisse: la mancanza di desiderio. 

Perché si lavora?

  • Perché lavori?
  • Perché mi pagano.”

È in questo modo che la maggior parte delle persone risponde istintivamente a questa domanda, dando così implicitamente un altro messaggio: “se non mi pagassero, non lavorerei”. Dunque all’apice dei motivi che stanno alla base del lavoro dell’uomo si trova innanzitutto la necessità, legata per lo più al bisogno fisico di sopravvivere. Attraverso il lavoro, infatti, posso procurarmi ciò che mi serve per vivere.

Se immaginassimo però di percorrere una scala evolutiva della motivazione al lavoro, al secondo gradino troveremmo il lavoro come possibilità di una realizzazione espressiva di sé.

Se procediamo poi nella nostra salita, troveremmo una terza motivazione: il desiderio di generare qualcosa, di costruire, di realizzare, attraverso il proprio lavoro, qualcosa che altrimenti non ci esisterebbe.

A cosa serve “desiderare”

Desiderare è un verbo bellissimo. La sua etimologia lo mette in relazione con quella attività tipicamente umana che è il guardare il cielo, o meglio le stelle (“siderare”). Le stelle ci rimandano a qualcosa che ci manca e verso cui tendiamo. Spesso il desiderare, pur essendo un bellissimo verbo, è tenuto lontano dal tema del lavorare. Il lavoro infatti è, come abbiamo detto sopra, solo questione di bisogni. Ho necessità di lavorare perché il lavoro mi permette di soddisfare i bisogni. Cosa c’entra allora il desiderio con il lavoro? Il desiderio rimanda al tempo libero, agli hobby e alle vacanze. Io lavoro perché devo non perché voglio.

Per spiegare a cosa serve il desiderio per il lavoro, vale la pena introdurre una riflessione circa la differenza tra bisogno e desiderio. Il bisogno rappresenta una condizione ineluttabile dell’uomo, dalla nascita alla morte siamo sempre caratterizzati dalla mancanza di qualcosa: abbiamo continue necessità di mangiare, di bere, di protezione e così via, come descritto bene da Maslow nella sua piramide. Tali mancanze però non sono di per sé attivanti. Anzi, in caso di eccessiva mancanza, si produce l’effetto contrario, ovvero di inibizione dell’azione, dato che il permanere in una condizione di bisogno porta con sé una generale perdita di energia motivazionale

Talvolta la mancanza è così grande, che il soggetto non riesce a trovare quel minimo di energia necessario a mettersi in movimento, altre volte il soggetto stesso si mette nella condizione di non attivarsi, oppure dopo un primo piccolo passo il processo bruscamente si arresta, colpito e affondato dall’emergere di difficoltà soggettive che ci paiono rendere vano il nostro agire.

Il desiderio, invece, è quell’esperienza di mancanza che spinge all’azione. È, infatti, un elemento che fa incredibilmente la differenza nello svolgimento di un lavoro: di certo non annulla la fatica o lo stress, ma rende tutto questo più sopportabile perché ogni sacrificio è fatto in nome di un progetto più grande, è fatto per inseguire un obiettivo stimolante

Quando il desiderio manca

Le condizioni di riduzione del desiderio possono derivare da:

  • caratteristiche profonde della persona, assai radicate e storiche;
  • contenuti appresi nella relazione educativa accaduta;
  • contenuti diffusi nel contesto sociale in cui la persona agisce.

La mancanza di desiderio rende impossibile l’attivazione del soggetto, pertanto è fondamentale, per poter procedere, stabilire se esso è davvero mancante, o se invece è mal indirizzato, e quindi si dovrà indagare su cosa rappresenti davvero un desiderio per la persona. In entrambi i casi, risulta opportuno procedere a un percorso a ritroso nella storia personale fintanto che non si vada a individuare un nucleo di desiderio riconoscibile dal soggetto.

Un desiderio è come un’esile pianticella appena spuntata dal terreno, basta poco per ucciderla: un po’ troppo sole, un po’ troppa pioggia, un vento un po’ troppo forte possono facilmente sradicarla.

Così ci sono aspetti di noi e del nostro contesto sociale di appartenenza, che ci sono sempre stati e che non ci hanno mai fatto eccessivamente preoccupare, che tuttavia hanno un effetto devastante verso la nostra capacità di desiderare e di perseguire il nostro desiderio.

Come allenare il desiderio

Ma il desiderio si può allenare. Anche e soprattutto nei contesti di lavoro. 

Il desiderio di per sé è condizione necessaria all’azione, ma non sufficiente a mantenerla nel tempo, tanto più se l’azione stessa comporta fatica certa e successo incerto. Si tratterà quindi di sostenere la desideranza nel lavoro.

Serve però sempre a priori avere un’idea di cosa ci possa essere di desiderabile nel lavorare. Qui le possibilità sono diverse, anche se la pura soddisfazione di necessità materiali non risulta quasi mai realmente desiderabile. Si tratta quindi di lavorare sui due “gradini” del riconoscimento e del desiderio di generare. 

Compito dell’organizzazione allora sarà:

  • per il primo, la valorizzazione del contributo portato alle finalità e agli obiettivi comuni;
  • per il secondo, la condivisione con chiarezza e puntualità delle finalità generali e degli obiettivi specifici dei compiti affidati (S. Gheno, Macchine con l’anima, 2020).

Un aspetto prioritario, inoltre, è quello relazionale. Desideriamo quando entriamo in relazione con qualcuno che esprime passione verso qualcosa e, inevitabilmente, ne siamo colpiti e addirittura rapiti. Esercitare il desiderio non è quindi solo una dote innata, bensì si costruisce attraverso le relazioni e attraverso i risultati raggiunti. Ha pertanto uno stretto legame con la forza di volontà, l’azione, il significato e l’autostima. E se è vero che viene mossa dall’aspetto relazionale, è altrettanto importante ricordare che per essere contagioso e moltiplicare i benefici dovrebbe essere alimentato sia dai collaboratori che dai datori di lavoro. Partendo dalla condivisione dei propri valori e sviluppando modelli basati sulla cooperazione e sulla sinergia tra tutte le persone.

Picture of Vittoria Olivieri
Vittoria Olivieri
Psicologa del lavoro. Svolge attività di orientamento formativo e professionale per studenti e lavoratori. Dal 2017 accompagna lavoratori e aziende nell’implementazione di percorsi di Change Management.
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Vittoria Olivieri
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